POLITICA
Luca Palamara e il possibile ritorno in magistratura
Il decreto legge Nordio apre la via del ricorso. L’intervista all’ex presidente dell’Anm radiato: «È ora di dire la verità sui rapporti politici

Fino al 2019 il suo nome era noto solo negli ambienti, già di per sé ristretti ed elitari, della magistratura. A giugno di cinque anni fa Luca Palamara divenne emblema delle toghe oscure, del sistema di spartizione delle sedi giudiziarie di prestigio o strategiche, o funzionali a interessi terzi che accontentava tutte le correnti e talvolta i poteri che con la giustizia non avevano nulla a che fare. O meglio, poteri che con la giustizia non volevano avere nulla a che fare. Dei suoi colleghi ce n’erano davvero pochi che non avessero un debito di riconoscenza verso di lui, le chat pubblicate parlavano da sole. Nel 2021 Palamara pagò (per tutti) con la radiazione e l’ostracismo. Ma ora il ministro della Giustizia Carlo Nordio, con l’abrogazione dei reati contestati all’ex presidente dell’Anm e componente del Csm, di fatto gli dà una chance.
Dottor Palamara, qualche giorno fa ha ipotizzato un rientro in magistratura. Intende davvero presentare ricorso?
«Darò mandato ai miei legali per valutare le ricadute dell’abrogazione in aspetti penali e disciplinari che hanno riguardato la mia vicenda. Ho già in piedi un ricorso alla Cedu ma anche in Italia intendo andare fino in fondo».
Come crede che verrà accolta questa scelta?
«Penso che in concomitanza con la vicenda che mi ha interessato una parte dell’informazione sia stata molto abile ad alzare un polverone che in qualche modo ha finito per narcotizzare molti magistrati».
Ma a prescindere dall’abrogazione, ritiene di aver mai commesso quei reati?
«Io penso che debba arrivare un punto della vita in cui anziché guardare indietro sia necessario guardare avanti con rinnovato vigore ed entusiasmo. Il ruolo della vittima non mi è mai appartenuto così come non mi è mai appartenuto il motto “muoia Sansone con tutti i filistei”. Oggi affronto una nuova sfida che è quella di ristabilire la verità su fatti e vicende che hanno riguardato l’intero ordine giudiziario e i rapporti tra magistratura e politica».
Quando scoppiano casi così incandescenti c’è la gara alla notizia inedita, spesso con qualche forzatura.
«Il 29 maggio il quotidiano Repubblica titolava in prima pagina “corruzione Csm, 40mila euro per una nomina”. Oggi lo stesso quotidiano, che in tutti questi anni non ha mai dato notizia delle mie ripetute assoluzioni nei processi, si ricorda di me e pensa alla mia felicità perché il decreto legge Nordio ha modificato la disciplina del traffico di influenze illecite eliminando dal panorama normativo un reato dai caratteri evanescenti, così come da sempre riconosciuto da fior di giuristi e di magistrati. In realtà la mia felicità odierna non proviene dalla promulgazione del ddl Nordio, materia sulla quale si cimenteranno i miei legali sia in ambito di esecuzione penale (la revoca della condanna) che in ambito disciplinare innanzi al Csm, bensì dal fatto che nessuna carta processuale ha mai confermato quel titolo roboante di Repubblica, grazie al quale è stata evitata una nomina che in quel momento veniva vista in linea di discontinuità con la gestione di Giuseppe Pignatone (attuale presidente del tribunale di prima istanza del Vaticano, indagato per favoreggiamento alla mafia) e che ha sovvertito gli equilibri interni della magistratura».
Qual è la sua opinione sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio?
«Rendere funzionali gli uffici giudiziari è il presupposto indefettibile per garantire il rispetto della legge da parte di tutti i cittadini e da parte degli amministratori pubblici. Allo stesso tempo bisogna consentire alle amministrazioni di poter operare perché altrimenti si crea quella paura della firma che blocca l’adozione di qualsiasi provvedimento da parte degli enti competenti».
Questo e altri retroscena saranno argomenti del suo prossimo libro.
«È ormai tempo di scrivere un altro pezzo di verità su questa storia».
Rientrare in magistratura è un suo desiderio o una questione di principio?
«Sono magistrato, figlio di magistrato. Quella è la mia casa».
Come immagina il rientro? In quale ruolo? Cosa farebbe di diverso rispetto al passato?
«Al momento non lo immagino. Ma sicuramente tornerei a fare il magistrato nelle aule di giustizia, lontano dalla politica associativa e dalle nomine. Quella è un’esperienza che mi auguro possa essere affidata a una nuova classe dirigente».
Esiste ancora, per ciò che vede e che sa, il meccanismo della lottizzazione?
«Inevitabilmente sì. Il sistema è pervaso dalla correntocrazia che corrode tutti gli ingranaggi decisionali».
Della meritocrazia nemmeno l’ombra?
«Sì c’è. Ma prevale l’appartenenza alla corrente».
A quali cambiamenti ha assistito, da osservatore esterno, in questi cinque anni di lontananza?
«Uno spostamento dell’asse di potere e il ripristino di una alleanza tra il centro e la sinistra».
Le procure ultimamente sono diventate delle piccole monarchie costituzionali. Cosa ne pensa?
«La recente circolare delle procure segna però un ritorno al passato: il rischio è quello di renderle ingovernabili».
Ci sono (ex) colleghi che le devono delle scuse, se non addirittura gratitudine?
«Bisogna guardare avanti e non indietro. Per il resto, come in tutti gli ambienti, vale il principio della sindrome rancorosa del beneficato».
Ossia l’ingratitudine all’ennesima potenza.
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