L'INTERVISTA
"Mai stata una Bestia di Satana"
Elisabetta Ballarin si racconta dal carcere in cui ha vinto una borsa di studio per un progetto culturale

Prima la laurea triennale, conseguita lo scorso settembre, ora una borsa di studio da seimila euro per realizzare nuovi percorsi didattici al Museo di Santa Giulia, progettati insieme ad altre due studentesse dell’Accademia e del Conservatorio, Lucia Cariani ed Elisa Moreschi.
Elisabetta Ballarin - in carcere a Verziano per l’omicidio di Mariangela Pezzotta - sta investendo concretamente sul futuro. E vorrebbe che il passato, un passato non suo, non continuasse a tormentarla.
«Io non ho mai fatto parte delle Bestie di Satana ma tutti continuano a identificarmi con la setta. Io avevo undici anni quando Andrea Volpe fece quel che fece, quasi non ero nata. Inoltre c’è una sentenza che stabilisce chiaramente la mia estraneità al gruppo. Perché continuare ad accostarmi a loro?».
L’accento bresciano assorbito in tanti anni di detenzione a pochi passi dalla Leonessa, si fa più marcato mentre protesta quel che per anni non ha potuto dichiarare e la voce le trema, indebolita dalle lacrime.
La ragazza, in effetti, al processo per i delitti commessi dal branco, rispondeva soltanto di un capo di imputazione, quello relativo al delitto di Mariangela Pezzotta, ex fidanzata del leader delle Bestie, Andrea Volpe, maturato parecchi anni dopo il massacro di Fabio Tollis e Chiara Marino e l’induzione al suicidio di Andrea Bontade.
«Io con quelle vicende non c’entro nulla», sottolinea.
Poi il discorso si sposta sui traguardi raggiunti in questi anni e sulla vita all’interno della casa di reclusione di Verziano, realtà che rispetto al panorama italiano sembra davvero stagliarsi.
«È un carcere "illuminato" ma non è facile arrivare a un simile risultato, perché in Italia è tutto lasciato alla buona volontà dei direttori. In nove anni ho assistito a molti cambiamenti, i direttori che si sono avvicendati hanno dovuto combattere con abitudini e mentalità di vecchio stampo, ma oggi Verziano è davvero un carcere all’avanguardia. Ci sono per esempio i corsi misti, quindi frequentati da uomini e donne, una condizione fondamentale in ottica di riabilitazione e di socializzazione. Le celle sono aperte. La rieducazione dal microcosmo al macrocosmo funziona davvero ed è merito dell’amministrazione», spiega Elisabetta.
L’assegno rientra nel bando "Giovani strategie per lo sviluppo del protagonismo e dell’autonomia degli studenti universitari", promosso dal Comune di Brescia grazie a un finanziamento dell’Anci di oltre 100mila euro, per migliorare l’appeal di Brescia come polo universitario.
Quello di Ballarin, Cariani e Moreschi è uno dei sette progetti di gruppo vincitori di altrettante borse di studio: i finanziamenti serviranno a concretizzare, durante la primavera, le proposte abbozzate sulla carta per migliorare la vita degli studenti in città.
Elisabetta ha ideato il progetto "Museo vivo", costruendo modalità innovative di fruizione del museo destinate a un pubblico giovane: da marzo verranno organizzate a Santa Giulia delle giornate dedicate al cinema, alla musica e alla danza, abbinate a laboratori didattici a tema, ospiti importanti e momenti di aggregazione.
«Il lavoro che sta portando avanti - commenta la mamma, Cristina Ballarin - rende onore anche alla memoria di Mariangela, perché quella terribile sera del 24 gennaio del 2004, Elisabetta ebbe l’opportunità di continuare a vivere, in un certo senso è una miracolata. Sono molto orgogliosa come madre, ma so che tutto questo è anche merito delle possibilità che ci sono state offerte dai signori Pezzotta, lasciando la porta aperta al perdono. Poi al carcere di Monza e di Verziano, al provveditore di grazia e giustizia, alle direzioni, al personale che ha incontrato. In questo difficile percorso abbiamo incontrato persone sensibili, che hanno saputo vedere chi è davvero Elisabetta».
La ventisettenne, dal canto suo, ha un altro ringraziamento che non può tacere.
«Va alla mia famiglia, che mi è sempre stata di sostegno. Ricevo visite da tutti i parenti, il mese scorso sono arrivati anche dal Sud Africa. Non mi sono mai sentita sola né abbandonata neppure per un attimo».
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