L’EMERGENZA
Appicca il fuoco alla Polaria
«Voglio ritornare in Patria». Bloccato filippino di 29 anni. Ufficio chiuso per due giorni

Voleva tornare nelle Filippine, la terra da cui era emigrato carico di speranze rimaste frustrate. E siccome nessuno poteva accontentarlo esaudendo il suo desiderio di rimpatrio, ha pensato bene di protestare dando fuoco all’aeroporto.
L’uomo è stato arrestato dalla polaria d’intesa con il pubblico ministero Nadia Calcaterra e ieri è stato processato a Busto Arsizio con rito direttissimo. «Mi spiace, mi spiace», ha dichiarato al giudice Veronica Giacoia che l’ha rimesso in libertà con l’obbligo di firma al commissariato bustese.
Il monito è arrivato chiaro: se dovesse trasgredire il provvedimento le Filippine potrebbe solo sognarle dal carcere. L’emergenza a Malpensa è scattata sabato 20, intorno alle 13. Stando a quanto ricostruito in aula il filippino è stato accompagnato allo scalo da non meglio specificati carabinieri, che l’avrebbero caricato in macchina dopo averlo sorpreso a dar fuoco ai cestini di un’azienda vicino all’aeroporto.
«Mi hanno detto che la polizia mi avrebbe pagato il biglietto per tornare a casa», ha spiegato durante l’escussione, assistito dall’avvocato Silvia Giacomelli. Una giustificazione inverosimile, ovviamente, ma l’imputato l’ha usata come alibi per i suoi comportamenti successivi. Varcato l’ingresso di Malpensa, si è diretto agli uffici della polaria, a piedi nudi e con una coperta sotto il braccio. Gli agenti, impegnati con le denunce di tre passeggeri, gli hanno fatto esporre le sue esigenze e poi l’hanno invitato ad attendere nella stanza che sta tra l’ingresso e la porta a vetri.
I poliziotti però lo avevano già avvertito: c’era ben poco che potessero fare per lui, al massimo si sarebbe dovuto rivolgere al consolato. Evidentemente al filippino la risposta non è piaciuta. Arrabbiato, ha infiammato la coperta grigia che portava con sé e l’ha gettata sulle poltrone in gommapiuma, poi si è allontanato rapidamente e, raggiunto il piano del check-in 2, ha incendiato un’altra serie di cestini della spazzatura. Nel frattempo la stanza della polizia è andata in fiamme, bruciava anche la tappezzeria delle pareti. Un fumo densissimo e acre ha invaso gli spazi e saturato l’ambiente. «Non si vedeva più niente», hanno raccontato gli operanti interrogati dal pm Federico Mazzella.
I quattro agenti presenti in quel momento hanno innanzitutto portato all’esterno i tre civili, poi armati di estintori hanno domato l’incendio, senza però poter liberare gli uffici dalla coltre nera e dai materiali rimasti in sospensione. Tanto è vero che l’ufficio è rimasto chiuso sia sabato che a Pasqua per impraticabilità. Il filippino, 29 anni, è stato bloccato da un poliziotto che avrebbe preso servizio dopo pochi minuti. Entrato dalla porta 12, si è trovato davanti una scena di panico, tra urla dei viaggiatori, fumo e fiamme. I soccorsi stavano già intervenendo ma è stato lui a fermare materialmente l’immigrato.
In aula si è scoperto che almeno da gennaio il filippino bazzicava la zona senza una dimora, un lavoro né un appoggio. «All’inizio facevo il badante, ma poi ho smesso perché era faticoso». Così ha tirato avanti a furia di espedienti. A maggio patteggerà la pena.
© Riproduzione Riservata