IL PROCESSO
Marnate: uccise la madre. «Non era pazzo»
Oggi in Corte d’Assiste la relazione sulla perizia psichiatrica. Il delitto risale al 23 settembre del 2022. Sentenza prevista a fine mese

Era capace di intendere e volere Angelo Paganini il giorno in cui uccise la mamma ottantanovenne, malata di alzheimer. Lo ha stabilito la perizia psichiatrica che oggi, venerdì 15 settembre, verrà discussa davanti alla corte d’assise presieduta dal giudice Rossella Ferrazzi.
Il 23 settembre dell’anno scorso il sessantunenne si trovava sì in uno stato mentale tale da scemare le sue facoltà ma non da escluderle. Oggi in aula verrà ascoltato il criminologo Marco Lagazzi e alcuni testimoni citati per precisazioni su alcune circostanze, il resto degli atti è stato acquisito dalla corte con il consenso del pubblico ministero Ciro Caramore e dell’avvocato Paola Monno.
Quello di Paganini è il classico caso di omicidio-suicidio riuscito solo in parte, perché il tentativo dell’imputato di togliersi la vita impiccandosi in giardino fallì. Era estenuato dall’assistenza continua a Maria Facchinetti, allettata da due anni e totalmente dipendente dal sessantunenne. Lo conferma anche il biglietto manoscritto trovato nella taverna della villetta, destinato al figlio Emanuele e al cognato Marcello il quale, pur risultando residente in via Marconi, da tempo viveva in Sardegna. «Non c’era un’altra soluzione, non odiarmi e non soffrire. Sono stato un disastro come padre».
E al cognato, rientrato quel venerdì mattina per recarsi alle urne la domenica, lasciò una raccomandazione: «Non arrabbiarti con mio figlio, tutti i problemi attuali e futuri sono per colpa mia. La soluzione è portare anche la nonna con me, così non avrete altri problemi».
Emanuele e la compagna erano andati a prendere lo zio a Malpensa e furono loro a trovare il cadavere della nonna composto sul letto con le mani giunte e un rosario tra le dita. Nessun segno di violenza sul corpo, Maria era così gracile che bastò premerle il cuscino sulla faccia per toglierle il respiro.
Angelo non si trovava, ma dopo aver letto il manoscritto Emanuele e Marcello corsero in giardino con la certezza di trovarlo morto. Invece il ramo della pianta a cui si era appeso cedette e l’uomo cadde a terra privo di sensi ma vivo.
A parere del perito Paganini il 23 settembre agì sotto l’impulso di un episodio depressivo maggiore, grave, senza manifestazioni psicotiche. Le terapie che assume nel carcere di San Vittore attenuano il quadro clinico ma sussiste un elevato rischio autolesivo. «Una acuzie depressiva che ha sicuramente condizionato il comportamento ma che si innestava su motivazioni e fini con il contesto», descrive Marco Lagazzi nell’elaborato depositato alle parti concludendo che quelle circostanze potessero portare «a un’infermità tale da quasi escludere la capacità di intendere e di volere senza abolirla».
Non si ravvisa neppure il rischio di un futuro scompenso clinico comportamentale tale da poter essere ritenuto di pericolosità sociale psichiatrica. Resta comunque marcata la tendenza autolesionistica: qualche mese prima dell’omicidio della madre aveva già provato a uccidersi e anni prima, nel 2014, la sorella Orsola aveva fatto lo stesso. Riuscendoci.
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