STORIA DI DISPERAZIONE
Marnate, uccise la madre malata: «Nessuno l’avrebbe aiutata»
Iniziato il processo ad Angelo Paganini, che soffocò la donna e tentò il suicidio

Si è aperto a Busto Arsizio il processo al sessantenne Angelo Paganini che il 23 settembre scorso uccise l’anziana mamma. Un’udienza rapidissima, il tempo di ammettere prove e testimonianze del pubblico ministero Ciro Caramore e dell’avvocato Paola Monno, l’imputato non è neppure uscito dalla gabbia, nessuno dei familiari si è costituito parte civile ma due dei parenti che il codice definisce «danneggiati dal reato» erano in fondo all’aula. Si tornerà in tribunale a Busto Arsizio a settembre per ascoltare la deposizione del figlio di Paganini, Emanuele e almeno due dei carabinieri che svolsero gli accertamenti.
La consulenza psichiatrica acquisita ieri mattina, venerdì 21 aprile, dalla corte d’assise presieduta dal giudice Rossella Ferrazzi, intanto, dice che Angelo Paganini è «tuttora a elevato rischio di atti autolesivi».
STORIA TRISTE
È una vicenda tristissima quella che si consumò nell’abitazione di via Marconi. Maria Facchinetti era arrivata a ottantotto anni prostrata dall’alzheimer ed era Angelo l’unico familiare che si prendeva cura di lei senza mai una pausa. Lo ha raccontato lui stesso allo psichiatra Marco Lagazzi durante i colloqui clinici a San Vittore, dove «c’è troppa confusione». «Negli ultimi mesi uscivo solo per andare a fare la spesa, eravamo solo io e mia madre, passavo il tempo a guardarla». Maria era allettata e in grandi difficoltà. Il figlio non chiese mai aiuto ai servizi sociali e ricoverare la pensionata in una Rsa non era un’ipotesi percorribile «perché il bilancio familiare non consentiva di sopportare il costo di una struttura».
ROUTINE ALIENANTE
La routine di Angelo era diventata alienante: «Ogni mattina la aiutavo a scendere dal letto togliendo le spondine. La lavavo, la pulivo, le cambiavo il pannolone, la imboccavo per la colazione anche se a volte se la cavava da sola, ma spesso si sporcava». L’ottantenne resisteva poco fuori dal letto e dopo ogni pasto - con le stesse dinamiche anche a pranzo e cena - chiedeva di tornare a coricarsi. Il figlio intanto faceva la spesa, cucinava, rassettava la casa, faceva il bucato. Il riposo notturno era impossibile perché l’anziana urlava e insisteva con richieste.
IL PROGETTO DI FARLA FINITA
Era dal mese di agosto che Angelo meditava l’omicidio suicidio, unica soluzione per non far ricadere sul figlio l’accudimento della nonna («se fossi morto io nessuno l’avrebbe aiutata») e nemmeno il suo, in vista di un invecchiamento con disabilità. A parere dello psichiatra l’imputato era «incapace di elaborare soluzioni più fisiologiche del devastante impegno quotidiano di prendersi cura della mamma», dunque sarebbe chiara la matrice «tipicamente depressiva», con «perdita di progettualità e percezioni di ineluttabile rovina, propri di una depressione di grado rilevante».
CONDIZIONE DI INFERMITA’
Da un punto di vista giuridico secondo Lagazzi al momento del delitto il sessantenne si trovava in una condizione di infermità tale da scemare grandemente le capacità di intendere e di volere senza però escluderle. Ora non sussisterebbe il rischio di nuovi scompensi e di azioni aggressive eterodirette «perché il quadro in cui avvenne l’omicidio è maturato nel pesante accudimento quotidiano dell’anziana». Ma Angelo Paganini - che risulta capace di partecipare coscientemente al processo - potrebbe essere ancora pericoloso per se stesso. In famiglia c’era già un precedente: nel 2014 la sorella Orsola si tolse la vita gettandosi nel lago Ceresio. E in carcere il sessantenne è sottoposto a terapia farmacologica.
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