DOPO LA TRAGEDIA
Uccise la madre, «Rischia il suicidio»
Per Angelo Paganini inizia il processo in Corte d’Assise per l’omicidio di Maria Facchinetti

Uccise l’anziana madre e poi tentò il suicidio: Angelo Paganini comparirà tra due settimane davanti alla corte d’assise presieduta dal giudice Rossella Ferrazzi e tra i primi temi che verranno introdotti ci sarà quello sulla capacità di intendere e di volere del sessantenne che lo scorso 22 settembre soffocò Maria Facchinetti, ottantottenne da tempo malata di Alzheimer e costretta a letto.
Agli atti c’è la consulenza chiesta dalla procura subito dopo l’arresto da cui risulta che l’imputato potrebbe togliersi la vita da un momento all’altro, motivo per cui è detenuto nel reparto di psichiatria del carcere di San Vittore sotto stretta sorveglianza. In questa prospettiva potrebbe leggersi il gesto compiuto quella mattina nella villetta di via Marconi: depresso e a quanto pare oppresso dai debiti di gioco, Paganini potrebbe aver intravisto nella morte l’unica via per allontanare da sé l’angoscia. Ma alla mamma era molto legato, in famiglia lui era quello che provvedeva a tutte le necessità dell’anziana e che stava al suo capezzale per la maggior parte del tempo. Mai l’avrebbe abbandonata a se stessa, mai avrebbe lasciato la responsabilità di prendersene cura al figlio. Al gip Piera Bossi, piangendo, Angelo ammise subito raccontando di aver stretto la mamma «in un abbraccio mortale», «volevo portarla con me». Quando ormai Maria non respirava più, il figlio la ricompose sul letto incrociandole le mani sul petto con un rosario tra le dita.
Scrisse poi un biglietto di addio alla famiglia in cui confidò le difficoltà economiche e l’incapacità di affrontarle, prese un cavo elettrico e il nastro isolante da fissare a uno degli alberi del giardino deciso a farla finita. Ma il ramo cedette poco prima dell’asfissia completa e il sessantenne cadde sul prato in stato di incoscienza. Lo salvarono il figlio Emanuele e il fratello Marcello, rincasati verso le 10.15.
Maria Facchinetti viveva con Angelo e Marcello e con il genero, vedovo dal 2014, da quando cioè la figlia Orsola Paganini venne ritrovata annegata nel lago Ceresio. La cinquantaseienne era uscita in bicicletta per andare a votare e non fece più ritorno. Per la famiglia fu un duro colpo ma tutti insieme erano riusciti a far fronte al dolore. La malattia degenerativa dell’ottantottenne forse ruppe il già precario equilibrio di via Marconi 237.
Da qualche giorno Marcello era in Sardegna, il rientro era programmato proprio per la mattina del 22 settembre e il nipote Emanuele era andato a prenderlo a Malpensa. Angelo approfittò di quelle poche ore per mettere a punto un piano che maturava da tempo. Qualche mese prima infatti aveva già cercato di ammazzarsi, senza tuttavia torcere un capello alla mamma; i parenti credevano fosse solo un momento di crisi e non immaginavano che potesse rifarlo. L’avvocato Paola Monno farà emergere il disagio e il senso di solitudine in cui era sprofondato Paganini, che a quanto pare persistono pure ora che è detenuto a San Vittore.
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