SANITA’
«Mia madre in attesa per 12 ore all’ospedale di Varese»
Il figlio della 83enne elogia il personale ma condanna il sistema

Dalle 10 di sera alle 10 di mattina su una sedia, al Pronto soccorso, a 83 anni. «Siamo stati fortunati: io so come muovermi e ho letteralmente “rubato” una sedia a rotelle, altri pazienti erano ancora più scomodi». A raccontare è il figlio, che ieri, mercoledì 27 dicembre, ha riportato a casa l’anziana madre, con una terapia tarata sullo scompenso che la donna aveva avuto. «Il mattino presto avrebbe dovuto prendere alcuni farmaci, glieli ho portati io da casa, insieme alla colazione, poco prima delle dimissioni: mi ha detto che nessuno le ha chiesto nemmeno se volesse una bottiglietta d’acqua».
NON LA SOLITA LAMENTELA
Lo sfogo non è il solito, di un cittadino che s’adira per la sanità che non funziona. Piuttosto è rammarico manifestato da chi lavora da oltre tre decenni in un ospedale della zona. E che dunque conosce bene pregi e difetti della nostra sanità. «Ho portato al Pronto soccorso dell’ospedale di Circolo mia mamma perché stava male, aveva dolore a un braccio e bruciore al petto, l’ho caricata in auto e in due minuti eravamo lì - racconta l’uomo, consapevole che se individuato potrebbe rischiare davvero grosso sul fronte professionale - . Infermieri e medici sono stati splendidi e non posso che elogiarli, è il sistema che condanno, dopo tanti anni nulla è cambiato, siamo ancora con le ambulanze in coda nella camera calda ad attendere le barelle perché di letti non ve ne sono e finché i malati non sono stati sistemati, i mezzi di soccorso non possono ripartire». La notte è stata folle, il display dava a pazienti e accompagnatori un messaggio inutile, visto che la situazione di “grave affollamento” la stavano vivendo in prima persona. «Non mi sono fatto avanti dicendo che ero il dipendente di una Asst, mia mamma purtroppo ha avuto molti accessi in Ps e non chiedo corsie preferenziali se non ve n’è grave bisogno - continua -. Però credo che mia madre avesse diritto a un campanello e a un armadietto, invece… e di certo la prossima volta chiamo l’ambulanza così almeno un letto mia madre deve averlo e viene visitata rapidamente».
E ancora: «Sono un utente come gli altri e così mi sono presentato». Una volta compreso che la situazione della mamma era comunque non grave e sotto controllo («ma il suo non era un accesso improprio, come altri, invece») l’accompagnatore ha cominciato a guardarsi attorno e a farsi qualche domanda.
REBUS AMBULANZE
«Vorrei che la mia fosse interpretata come una critica costruttiva. L’esempio delle ambulanze ferme è un classico: se sono in ospedale perché sulle barelle c’è il paziente, i mezzi non sono sul territorio a prestare soccorso. Un cane che si morde la coda… ma se sono anni che dopo un tot di accessi finiscono le barelle, che cosa si vuole aspettare ancora prima di correre ai ripari?».
PERSONALE STREMATO
Il personale è «attento, ma poco e stremato, ovunque non può arrivare. E poi ci lamentiamo perché tutti i dipendenti vanno in Svizzera…». Che il problema in tutti i Ps si ripresenti ogni inverno identico, è un dato di fatto. Che influenza e Covid mandino in crisi un sistema già provato, idem. Che i tentativi di intervento non abbiano sortito finora grandi effetti, è evidente. Un discorso che vale per Varese e che potrebbe valere per moltissimi altri Pronto soccorso. Dal Circolo, inoltre, c’è la certezza della partenza, in primavera, del primario, il professor Walter Ageno, luminare che andrà a lavorare a Bellinzona. La notizia del direttore dimissionario non deve però offuscare la volontà ferrea di mettere mano a una situazione complicata che non dipende di certo dai singoli e probabilmente nemmeno dall’ospedale di Varese ma che ha bisogno di un intervento. Il nuovo direttore generale, Giuseppe Micale, riconfermato alla guida dell’Asst Sette Laghi, ora che non è più commissario straordinario, avrà più spazi di manovra e dovrà affrontare la questione. Come molte altre.
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