MEMORIE
«Mio papà, un eroe»
Tito Olivato riscrive la storia del padre Guido finito prigioniero. E rispolvera il suo diario

Che suo padre fosse un eroe non lo aveva dubitato mai. Da quando era piccolo, sentiva i militari della caserma Ugo Mara parlarne con ammirazione. In particolare veniva fatto riferimento a certe imprese in Africa. Dalla sua bocca, però, neanche una sillaba. Anche il contesto civile era indifferente a quelle eco remote.
È stato invece un manoscritto sorprendentemente conservato, a fornire a Tito Olivato il materiale per la stesura di “P.O.W”, un libro stampato in proprio contenente la storia di guerra e prigionia del padre Guido, sergente maggiore in stanza alla caserma di Solbiate, dove il suo ricordo è ancora vivo: «Un volumetto di 14 centimetri per 7, composto da 140 fogli di carta igienica più simili ai cartocci della frittura, tutti vergati fronte e retro con mezzi di fortuna e rilegati a mano con la costa di una scatola da sigari», dettaglia l’autore che descrive così il diario tenuto dal padre durante quattro anni di detenzione presso gli inglesi, prima a Massaua poi in India, ai piedi dell’Himalaya.
Ci era finito dopo avere combattuto e perso la battaglia di Cheren, inquadrato nel settimo reggimento bersaglieri: «Inizialmente, era granatiere. Scese in Africa a seguito di una lite con zio Dario. Avevano messo entrambi gli occhi sulla stessa donna, che peraltro non se la intese con nessuno dei due. Prima papà poi lo zio finirono in Africa in cerca di fortuna, da Massa Carrara, dove siamo originari. Li seguì anche zia Rosalia con il marito. Un terzo dei fratelli si ritrovò nell’Africa Orientale, precisamente in Etiopia, da poco annessa all’Eritrea italiana. Era il 1937. Mio padre era già nell’esercito e, quando scoppiò la guerra, diede il suo contributo alle armate ai comandi del Duca d’Aosta, che per quanto isolate dal governo fascista si comportarono eroicamente. Sua fu la difesa del monte Forcuta, uno dei bastioni naturali della valle di Cheren».
La strenua resistenza non impedì la capitolazione né la prigionia che per il serpente maggiore Olivato iniziò nell’aprile del ‘41 e terminò solo nel novembre del ‘46: «Più di un anno dopo la fine del conflitto. Perché?», s’è chiesto subito il figlio, autore del libro il cui titolo è l’acronimo di “prisoner of war”. Per rispondere, sposa la tesi secondo la quale il governo italiano si sarebbe accordato con quello britannico perché tardasse la restituzione dei militari più irriducibili, quelli che non accettarono di cambiare uniforme, fin dopo il referendum tra repubblica e monarchia, cosicché non venisse avvantaggiata la seconda: «Di certo, non ricevette grandi attenzioni né onori una volta rimpatriato, sebbene venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare e altre onorificenze».
Ora, s’aggiunge anche la memoria di gesta e disavventure. Il libro verrà presentato per la prima volta tra un mese, domenica 20 gennaio alle ore 16 alla libreria Boragno. Seguirà una presentazione a Solbiate Olona, in aula consiliare verso fine febbraio.
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