LA POSSIBILITÁ
Badia di Ganna: monaci 500 anni dopo
Artefice della proposta è un imprenditore che ha trascorso un anno in monastero. Avviato l’iter

Dopo cinquecento anni potrebbero riapparire i monaci nella Badia di Ganna.
L’intrigante ritorno al passato ha già avuto il via libera informale dell’ordine monastico ma, chiaramente, il percorso è ancora lungo. Ad ogni modo il cammino per riportare l’Ora et labora nel Varesotto è tracciato. Ed è merito di una persona che incarna una storia nella storia.
Si tratta di Claudio Bollentini, 55 anni, varesino. Dopo una brillante carriera come imprenditore nella comunicazione a Milano, decide di prendersi un anno sabbatico. E, nel 2018, passa dodici mesi, da laico, nell’Abbazia della Novalesa, ai piedi del colle del Moncenisio.
È stata un’esperienza che è andata ben oltre le aspettative - racconta - tanto da continuarla ancora oggi e da scriverci un libro».
Non solo: fra gli stimoli ricevuti, vi è stata anche una sorta di folgorazione: rientrare nel suo territorio di origine, impegnandosi a riaprire un presidio benedettino. Dove? A Ganna, appunto, dove i monaci mancano dal Cinquecento. Una suggestione che sta già andando oltre il semplice pensiero, sta compiendo passi concreti.
«A oggi - spiega Bollentini - ci sono gli estremi per pensare a una riattivazione. Il percorso è ancora lungo, ma ho già parlato con tutte le parti in causa, ricevendo disponibilità, interesse e apertura mentale. Vi è anche un buon consenso dell’opinione pubblica, come si evince dal gruppo Facebook sul ritorno benedettino nella Badia di Ganna».
D’altronde qui i monaci rimasero fino al 1.500, poi vi fu una fase di declino e, recentemente, il restauro e recupero da parte degli Amici della Badia di Ganna e della Provincia.
Già negli Anni Novanta si ipotizzò un ritorno dei monaci, che non andò a buon fine. E stavolta, come finirà?
Di certo in quest’ultimo periodo è in corso un programma di valorizzazione turistica della Via Francisca del Lucomagno, antico percorso dei pellegrini che, dal Lago di Costanza scendevano a Roma, passando proprio da qui.
A questa iniziativa turistica, Bollentini vorrebbe unire la vera vocazione della Badia: «E cioè quella religiosa, culturale e storica. Anche perché i benedettini sono sempre stati molto attenti all’aspetto culturale della loro missione e del loro lavoro, sviluppando coltivazioni e attività artigianali sul territorio dei monasteri e delle abbazie».
Si scriverà dunque un nuovo capitolo sull’abbazia di San Gemolo?
Si vedrà. Il luogo di culto fu infatti fondato dall’alto clero lombardo, nel 1095, su concessione dell’Arcivescovo di Milano, Arnolfo II e le origini sono legate anche a una leggenda.
Si narra che, intorno ai primi decenni dell’anno 1,000, Gemolo, giovane diacono in pellegrinaggio verso Roma, venne decapitato da un gruppo di briganti del Seprio. Dopo essere stato ucciso, il ragazzo raccolse la propria testa e cavalcò fino al luogo dove oggi è situata l’abbazia benedettina.
Fu così che una terra, da sempre contesa, divenne il cuore di una fiorente attività monastica.
Il mutamento dell’abbazia in commenda, voluto da Eugenio IV, nel 1477, segnò la fine della vita dei monasteri. E così, nel 1556, dopo la sua chiusura, la chiesa assunse la funzione di parrocchiale. Ora, a quasi cinquecento anni di distanza, i monaci potrebbero tornare.
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