IL PERSONAGGIO
Morini, compleanno con... distacco
L’ex di Varese, Milan e Pro Patria compie 70 anni: «Non vado più allo stadio. Il mio era un altro calcio»

È stato uno dei più efficaci centrocampisti degli Anni ’70. Ora, per Giorgio Morini il 70 è anche sulla carta d’identità.
L’ex jolly della mediana del Varese ai tempi della serie A taglia infatti oggi, mercoledì 11 ottobre, un traguardo anagrafico importante.
Figlio di una terra, la provincia di Massa Carrara, che ha dato tanto al calcio italiano, da Albertosi a Chinaglia, da Evani a Buffon a Bernardeschi, Morini vestì il biancorosso in un’epoca gloriosa. Quando cioè in panchina c’erano Nils Liedholm e Sergio Brighenti, in campo Anastasi e Bettega e al vertice societario Giovanni e Guido Borghi.
Un altro calcio per la città. Lontanissimo.
«È difficile per me parlare del Varese di oggi: non vado allo stadio da tre anni, non certo per disamore per i colori biancorossi, solo perché non vado più allo stadio per scelta mia».
Vivendo a Varese però non potrà fare a meno di seguire le vicende della “sua” squadra. Che ne pensa?
«Certo che lo seguo, io ormai sono più varesino che carrarese quindi m’informo sempre leggendo La Prealpina, ma non essendo nell’ambiente non posso permettermi di dare giudizi su realtà che non conosco nello specifico. Dico solo che capita, ci sono momenti positivi e momenti negativi. L’importante è che la società sia solida e che abbia organizzazione. Conosco tante persone dentro il Varese, amici come Papini e Merlin. Gente seria e sono certo che le cose miglioreranno».
Al tramonto della sua carriera visse anche un’esperienza di due stagioni fra il 1981 e il 1983 alla Pro Patria. Segue anche i tigrotti?
«Certamente. Mi trovai molto bene all’epoca, ero calcisticamente più “vecchio” e facevo un po’ da chioccia per i giovani. Vincemmo anche un campionato di C2 e ho tanti bei ricordi. Ora la Pro Patria dopo un periodo non facile sta andando bene e spero che continui a fare altrettanto».
Un altro calcio...
«Si vivevano tante belle esperienze, certo. Ancora adesso mi capita di incontrare qualche compagno di allora che magari era molto più giovane di me e che poi ha fatto la sua carriera: “ehi Giorgio, ti ricordi di me, giocavamo insieme?” e io rispondo: “Ma se io non mi ricordo nemmeno cosa ho fatto ieri mattina... ” - ride -. Però fa piacere sapere di aver lasciato qualcosa dietro di sé nel corso della propria carriera».
Oggi invece sembra esserci meno poesia. Che ne pensa del calcio italiano attuale, specie in questi giorni nei quali la Nazionale fa tanta fatica?
«È inevitabile. Basta leggere le formazioni delle squadre principali di serie A: otto o nove titolari sono stranieri... Come si può pensare di competere allo stesso livello con altre nazioni come Spagna, Francia o Germania? L’ossatura delle squadre in quei campionati è quasi completamente impostata sui giocatori della propria nazione, peraltro spesso anche giovani che trovano molto più spazio rispetto ai nostri. In Italia invece è molto più difficile».
Però la sua Carrara, con Buffon e Bernardeschi resiste ai livelli più alti. Cosa danno da mangiare laggiù?
«Adesso non lo so – ride – non vivo più lì da tanto. Ma ai miei tempi ricordo che in un attimo passavi dalla montagna al mare... è una zona nella quale si vive bene. Come il Varesotto del resto. Speriamo che presto possa tornare glorioso come ai vecchi tempi».
© Riproduzione Riservata