LA MORTE DI MATILDA
«Abbandonata dallo Stato»
Un delitto senza colpevole: solo mamma Elena si è battuta per la sua bambina

«La procura, lo Stato, non c’erano. Solo la mamma di Matilda impugnò la sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Cangialosi e la Cassazione le aveva dato ragione. Contro di lui solo la madre e i nonni di Matilda hanno tenacemente combattuto per far emergere la verità. E ciò nonostante la mamma fosse stata assolta con formula piena in tutti i gradi di giudizio»: le motivazioni dell’assoluzione di Antonio Cangialosi sono state depositate. Margini per riaprire il giallo dell’omicidio di Matilda Borin, non ce ne sono più.
Dopo aver letto le venti pagine della suprema corte, l’avvocato Tiberio Massironi - difensore di parte civile di Elena Romani - riflette: «Resterà sempre una profonda amarezza pensando che una bambina uccisa da un calcio non abbia trovato giustizia, verità e responsabilità. Ma sappiamo almeno di aver tentato ogni strada per cercarla».
Nelle motivazioni scritte dal consigliere estensore Elisabetta Maria Morosini, gli ermellini stessi danno atto della determinazione di Elena e dei suoi avvocati, Massironi e Roberto Scheda parlando di «ricorsi che si lasciano apprezzare per tenacia e impegno» e anche perché «non contengono alcun cenno, neppure implicito, al perseguimento degli interessi civili». Traducendo, non era un risarcimento ciò che chiedevano la mamma di Matilda e i suoi difensori puntando il dito contro l’ex compagno, l’unico che il 2 luglio 2005 si trovasse nella casa di Roasio (in provincia di Vercelli) con la bimba di ventidue mesi ed Elena.
«Purtroppo troppo presto la procura, lo Stato, aveva deciso di deporre le armi nei confronti di Cangialosi», perché di fatto le indagini si concentrarono solo sulla madre. «Questo è e rimarrà il cancro di questo processo che ha lasciato impunita la morte della bambina», afferma l’avvocato Massironi. Che però vuole precisare alcuni dettagli, sfuggiti magari a qualcuno: «La mamma di Matilda è stata assolta con formula piena, ed è l’unica che fino all’ultimo ha cercato la verità».
La quinta sezione della corte suprema, presieduta dal giudice Rosa Pezzullo, lo ha però sancito come un epitaffio sulla lapide della bimba che nacque dall’unione con l’imprenditore bustese Simone Borin: il fatto che non si sia raggiunta la prova della responsabilità di Elena Romani non significa automaticamente che ad aver sferrato il calcio mortale alla bambina sia stato lui.
«Seppur utile nella prospettiva di difendere Elena Romani (assolta con sentenza irrevocabile), la stessa ricostruzione proposta in ricorso si rivela però cedevole rispetto alla capacità di sorreggere l’invocata affermazione di responsabilità nei confronti dell’odierno imputato».
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