SCULTURA
Niccolò Mandelli: vado «In-contro» al futuro

Avevamo lasciato Niccolò Mandelli Contegni appeso all’ossimoro della sua mostra di Voltorre, «Futuro arcaico», del 2012, nella quale cinquanta sculture ne ricapitolavano il percorso artistico, incominciato quindici anni prima nei Paesi del Centro America, dove scolpiva grandi tronchi di teak e guayacàn abbandonati sulla spiaggia dalla forza del mare.
Niccolò parlava del suo fare, che non aveva avuto maestri, del rifiuto della modernità e della ricerca inesausta nella materia, legno e ferro, così simile a un percorso psicanalitico dentro se stessi. Scavare e gettare il superfluo, avvicinarsi all’amatissima arte romanica, austera e così palpitante, cercare forme semplici e assolute destinate a durare nel tempo. Lo scultore, che oggi ha 50 anni, non ha abiurato le sue tesi, ma anzi le ha rafforzate dopo un periodo di ritiro volontario dal mondo tecnologizzato, trascorso ad affinare (e in qualche caso concludere) le sue ricerche nella forma e nella materia.
Niccolò Mandelli Contegni si è trasferito da poco più di un anno nel nuovo studio di Cassinetta di Biandronno, una ex carrozzeria del 1967 trasformata in un loft in stile newyorchese, 350 metri quadrati per quattro distinti spazi, pavimento in ferro con un living, la sala espositiva, lo studio per scolpire e un piano inferiore dove depositare le sculture. Consigliere della Fondazione Sangregorio, appassionato di cultura precolombiana e di scultura africana, ama la storia medievale e l’arte romanica e vorrebbe progettare una mostra nel monastero di Torba, dove anni fa espose qualche lavoro.
Schivo e solitario, Mandelli Contegni è come il cratere di un vulcano, quiescente per lunghi tratti, erutta parole a fiotti, come fa con le sue sculture, immaginate e «viste» con gli occhi della mente, e poi espulse con forza quando l’immagine è perfettamente a fuoco e si passa al lavoro delle mani. Cinque anni di applicazione costante, di sperimentazione spinta all’estremo e il risultato, a lungo inseguito, di aver messo finalmente un punto al suo cercare. Il salto di qualità è la mostra che si è appena inaugurata da Grossetti Arte, galleria storica di Milano nata nel 1942 per occuparsi di Boccioni, Carrà e De Chirico e di giovani di talento.
Come sei arrivato a esporre in uno dei templi dell’arte contemporanea, che ha dato luce a scultori del calibro di Duchamp, Giacometti, Marini fino a Giuseppe Spagnulo che tu apprezzi molto?
«Conobbi Bruno Grossetti cinque anni fa su suggerimento di un caro amico scomparso, Gianni Robusti. È un gallerista con un sesto senso per gli artisti di valore, in grado di capire la sensibilità del momento. Per arrivare a fare una mostra da lui bisogna sudare. Sta mettendo assieme un pool di giovani artisti e di critici di valore, e per la scultura ha scelto anche me. Questa forma d’arte ha tempi lenti, a cinquant’anni sei ancora considerato un giovane, in pittura puoi dire la tua molto prima».
Quante e quali opere hai in questa mostra milanese?
«Venticinque sculture e alcune carte, l’intero mio percorso ultimo che ha previsto l’uso di legno e ferro, forme e strutture che raccontano qualcosa di ancestrale, che arriva al nucleo profondo di ognuno di noi. Se gran parte dell’arte di oggi appare effimera, le mie opere devono durare nel tempo, e tra vent’anni dire ancora qualcosa. Ho bisogno di isolarmi per riuscire ad andare a fondo nella mia ricerca. I miei Nodi rappresentano sia legami e tensioni sia forze contrapposte. Molte delle sculture non hanno posizionamenti fissi, possono anche essere appese e mostrano il ferro crudo, con le saldature a vista. Altre sono costituite da cerchi in ferro legati tra loro e attraversati da travi di legno nella loro forma originale che concludono in un certo senso l’opera».
Da Grossetti esponi anche alcune carte, raccontacele.
«Non hanno nulla a che vedere con le opere scultoree. Uso la carta del macellaio, giallina e ruvida, o quella utilizzata per fare le montagne nei presepi, realizzo collage e disegno a carboncino ogni tanto aggiungendo un po’ di tempera. Mi piacciono i colori della terra».
Tuo figlio Pietro, nove anni, cosa pensa del tuo lavoro?
«Più che il mio lavoro a lui interessa che io lo porti a pescare, ma ha ereditato da me la capacità manuale. Si costruisce da solo arco, balestra e automobiline di legno».
Quali sono i tuoi riferimenti principali nella scultura?
«Constantin Brâncusi su tutti, Arnolfo di Cambio tra gli artisti del Medioevo, Giuseppe Spagnulo tra i contemporanei».
Non hai avuto maestri, ma un mentore come Sangregorio.
«Mi spiace infinitamente che non possa vedere questa mia ultima evoluzione, che lui aveva previsto. Mi diceva: fai una ricerca così personale che non puoi avere maestri. Le nostre erano due strade completamente diverse, ma ci univa il gusto di fondo. Mi trasmise tra l’altro la passione per un grande artista nel Novecento, Lorenzo Viani, del quale possiedo alcune opere. Amo come lui i reietti, sono attirato dalla follia come da una calamita».
Niccolò Mandelli Contegni, «Incontro» - Milano, Grossetti Arte, piazza XXV Aprile 11/b, fino al 28 febbraio da lunedì a venerdì ore 10-13 e 14-18, info 344.2046825.
© Riproduzione Riservata