IL CASO
"Non era un saluto fascista"

Lui se la riderà, da qualche parte di questo sconfinato universo, guardando la prima pagina de La Prealpina di domenica 9 agosto con gli amici (ops, i camerati) che lo salutano con il braccio teso. Riderà delle polemiche, dei soliti giudizi sommari, dei post su facebook e non riuscirà ancora a capire come mai nel 2015 ci sia ancora chi s’indigna di fronte a quella che per lui è una semplice testimonianza d’affetto: un arrivederci tra buoni amici. Fabio Castano era così: molto di destra e molto vero. Una persona autentica, con la quale confrontarsi e scontrarsi, sempre in lealtà. Allora, «grazie Checco e a tutti i ragazzi: il saluto al mio adorato Fabio è stato bellissimo e commovente. Chiedo se ci sono foto o video di pubblicarle ancora». Così scrive la moglie Anna Russo sui social. Ed è proprio Checco – ovvero Checco Lattuada, consigliere comunale a Busto Arsizio ma soprattutto faro della destra varesina, al centro anni fa di un’indagine per apologia di fascismo poi prescritta – a spiegare il significato di quel gesto.
«Il presente l’ho chiamato io», precisa senza reticenze.
«Si tratta della tipica chiamata dei morti e affonda le sue radici nella storia. Non è un saluto fascista. Veniva fatto anche nelle trincee quando moriva qualche soldato. Riprende una ritualità antica e sbaglia chi vuole strumentalizzare a tutti i costi. Credetemi, io ho una certa conoscenza dell’argomento».
Lattuada usa l’ironia con quest’ultima frase per dire che già altre volte si è trovato al centro di situazioni in delicato equilibrio tra reato e non reato. Per questo informa: «L’apologia si configura come propaganda. Nel saluto a Castano noi non abbiamo voluto mostrare questo ma semplicemente dire che lui è ancora presente tra noi. Diverso se avessimo scandito frasi come: A noi, Viva il duce, o altro. Io ho semplicemente detto: “Camerati, a posto, attenti”. E tutti hanno risposto: Fabio Castano presente. È come se avessimo voluto esprimergli un augurio: finito il tuo transito terreno, noi non ti dimentichiamo».
Perché allora l’Anpi si è arrabbiata?
«Ma no, penso che la reazione del presidente gallaratese Michele Mascella sia stata normale. Me l’aspettavo. Ribadisco, però, che il nostro saluto non è un reato perché si tratta di una semplice chiamata che riprende antiche ritualità comunitarie». D’altronde Lattuada fa presente che per il braccio teso in occasione della commemorazione di Sergio Ramelli ci sono state denunce in passato che sono finite in nulla perché «quel gesto non si configura come apologia di fascismo ma come semplice chiamata dei morti».
Al di là delle leggi e degli aspetti formali, resta, comunque, un dato di fondo. E Lattuada lo esprime con toni chiari, mostrando una critica forte nei confronti di una società, come la nostra, ancora vittima di troppe contraddizioni.
«Si parla tanto di libertà, poi ci si ferma al saluto di un amico sul sagrato di una chiesa, al termine di un funerale, davanti alla sua bara. Ecco, mi sembra davvero assurdo tutto ciò. Ormai viviamo in un mondo che non si scandalizza più di niente e di nessuno ma se uno alza il braccio teso per dire arriverderci a qualcuno che non c’è più, viene paragonato quasi a un criminale. No, questo non mi va giù. Sono io indignato, anche se ormai, purtroppo, ci ho fatto il callo».
Ma ciò non significa arrendersi: «Come fu per Giovanni Blini, anche per Fabio Castano - conclude Lattuada - queste persone sono ancora presenti tra noi. E lo abbiamo voluto dire con un gesto molto semplice».
Che piaccia o non piaccia, che sia reato o meno (le scuole di pensiero in proposito continueranno a dibattere), resta il rispetto per la morte di un uomo. E per l’affetto di chi gli ha voluto bene e continuerà a volergliene. Vero Fabio?
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