BASTA VIOLENZA
«Non fermarono un serial killer»
Colpevole agli occhi di tutti, ma non a quelli della legge. Fu Luca Delfino a uccidere Luciana Biggi il 28 aprile 2006 nei caruggi di Genova ma la procura non riuscì a dimostrarlo. E così, dopo poco più di un anno - Sanremo, 10 agosto 2007 - Delfino ammazzò un’altra ex fidanzata, Antonella Multari.
Il quarantaseienne, condannato a sedici anni e otto mesi di reclusione - da fine luglio è rinchiuso in una Rems del quartiere genovese di Prà. «Così suo padre può portargli i vestiti puliti tutti i giorni», commenta con amaro sarcasmo Bruna Biggi, la gemella di Luciana. «Per mia sorella non si è fatto un giorno di galera, in compenso gode di tutti i diritti e delle tutele. Se le indagini fossero state condotte bene, almeno Antonella si sarebbe salvata», è la riflessione di Bruna, cinquantatré anni, asciutta come lo sono i genovesi, pochi sentimentalismi e molto realismo.
«Era un manipolatore, viscido, meschino, si faceva compatire. Occhi sempre bassi, sfuggente, origliava dietro le porte. Venti giorni prima di uccidere mia sorella dovetti sbatterlo fuori di casa a calci, letteralmente. Non voleva andarsene. Luciana lo mise alla porta e io gli detti uno spintone e lo feci ruzzolare giù dalle scale. Mi ha minacciata ma io di lui non ho paura».
Bruna, nel 2006 non esisteva ancora il reato di stalking, l’hanno introdotto dopo il delitto Multari, l’ennesima vittima di Delfino. Eppure in 17 anni il numero di donne ammazzate non si è azzerato.
«È tempo che il Governo intervenga seriamente, i palliativi non hanno fermato il fenomeno. L’educazione affettiva, in tutte le sue sfaccettature, dovrebbe diventare materia di insegnamento scolastico».
Servirebbe sia agli uomini, incapaci di incassare un rifiuto, che alle donne redentrici.
«I segnali di un amore malsano e tossico ci sono, bisogna riconoscerli. Gli uomini che tendono a isolare la compagna, che la controllano con ossessività, che la ricattano affettivamente e si intromettono nelle sue scelte sono pericolosi. Delfino cercava di imporre queste modalità con mia sorella. Luciana era fin troppo buona, era ingenua, diceva “poverino, la madre si è suicidata” e per un po’ ha sopportato. A volte perdeva la pazienza, anche davanti a me, e lui assumeva un atteggiamento passivo e remissivo che mi convinceva. Luciana lo ha sottovalutato e quando l’ha lasciato lui l’ha uccisa. Purtroppo a processo molte testimonianze di donne che l’avevano conosciuto non sono state portate. Gli inquirenti me lo hanno sempre detto: sappiamo che è stato lui ma non ci sono prove sufficienti per inchiodarlo. I frame delle telecamere che pare provassero l’aggressione sono spariti, c’erano solo le immagini del loro incontro fuori da un locale. Era un serial killer, non l’hanno fermato».
Cultura del rispetto reciproco e metodi investigativi più efficaci, quindi.
«Dopo l’omicidio di mia sorella poteva essere fermato. Doveva essere seguito, controllato, intercettato. E quando lo arrestarono con le mani insanguinate non avrebbero dovuto consentirgli di scegliere il rito abbreviato e farsi solo 16 anni di carcere. Per gente colta in flagranza ci vuole l’ergastolo. E lui invece, essendo semi infermo, adesso è in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza, a pochi passi da casa mia».
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