IL CASO
«Non ho buttato mia moglie dalla finestra»
Delitto dell’Ibis di Cardano al Campo: Park Daehee si dichiara innocente e dopo 8 anni mezzo di carcere da ieri lavora alla Valle di Ezechiele

«Continuo a pensarci: come ho fatto a non sentire le sue urla? Come ho potuto essere caduto in un sonno così profondo? Un uomo ha il dovere di accudire e proteggere la propria moglie sempre e io non sono riuscito».
Ieri, lunedì 4 novembre, per Park Daehee è stato il primo giorno fuori dal carcere dopo otto anni e mezzo di detenzione per l’omicidio di Aan Jungme, la donna che aveva sposato poche settimane prima. Erano in luna di miele in Italia, la sera del 18 maggio 2016, a poche ore dal rientro in Corea, Aan cadde dalla finestra dell’Ibis e morì.
Per la legge italiana fu lui a spingerla nel vuoto e nel 2021 la Cassazione rese definitivi i quattordici anni di pena inflitti dalla Corte d’assise di Busto.
Da ieri il cinquantanovenne esce dal penitenziario di Bollate al mattino, va alla cooperativa Valle di Ezechiele a lavorare e fa rientro in cella alla sera. Il peggio se l’è lasciato alle spalle, verrebbe da dire, ma il coreano - che con enorme fatica in questi anni ha imparato l’italiano - non si sentirà mai in pace.
«Io sono innocente, quello che è successo quella sera non potrò mai dimenticarlo, è stato uno shock. Ho perso l’amore della mia vita e sono stato condannato ingiustamente, spesso ho pensato al suicidio perché la mia vita è diventata un doloroso incubo senza fine. Cosa mi ha dato forza? La bibbia» dice. Park nella casa circondariale di Busto ha trovato la fede e si è addirittura battezzato. «L’incontro con don David, il cappellano del carcere, ha rafforzato la mia fiducia nella parola di dio». Il cinquantanovenne, mite, gioviale, educatissimo, della giustizia italiana si è fatto un’idea precisa ma non la esprime.
Si limita a una riflessione: «C’era un testimone che avrebbe potuto scagionarmi perché dalla sua finestra vide tutta la scena. Era un poliziotto americano, Adam Tanner, abbiamo chiesto in tutte le sedi di poterlo convocare in aula ma a nessuno è interessato sentirlo. Non capisco perché nessun giudice abbia acconsentito. Io credo che in un processo giusto debba essere ascoltata la parola dell’imputato, valutate tutte le prove e data la possibilità di difendersi senza ostacoli. Con me non è stato così». Tanner non era stato rintracciato durante il processo in primo grado, l’avvocato Guido Camera riuscì a contattarlo alla vigilia dell’appello ma l’istruttoria non venne comunque rinnovata. E per la Cassazione le testimonianze raccolte dalla procura di Busto, in fase di indagine, e riscontrate in dibattimento erano più che sufficienti per affermare la colpevolezza del vedovo. L’avvocato Camera presentò ricorso anche davanti alla corte europea ma nel 2022 i giudici di Strasburgo hanno respinto l’istanza.
«I miei suoceri mi credono, mi vogliono bene. Hanno capito che sarebbe stato assurdo uccidere una moglie dopo dieci giorni di matrimonio, ci si sposa per fare figli, per costruire una famiglia, non per ammazzare. Ma per la legge italiana io sono responsabile e per me, guardandomi con gli occhi del mio Paese, questo è un motivo di grande vergogna, è uno schifo».
Ma in Corea vuole tornare. «Ho mio padre, i miei fratelli e i miei nipoti che stanno soffrendo tanto per colpa mia. Uno dei miei fratelli, più giovane di me, è morto in un incidente in Corea, al rientro dall’Italia, dopo la visita in carcere da me. Era sconvolto, stava tanto male ed è successa la disgrazia».
La detenzione a Busto (seguita da Vigevano e ora Bollate) gli è servita per costruire rapporti. «Ho trovato tanti amici a partire da don David. Persone speciali come Giuseppe e come Nino, che ha un cuore molto grande». I cognomi non servono, l’essenza della condivisione e del mutuo soccorso non è questione anagrafica.
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