PROCESSO D’APPELLO
Gettò la moglie dalla finestra, 14 anni
Confermata la pena del primo grado. Il coreano Park Dea Hee uccise la donna in viaggio di nozze

La corte d’assise di Busto Arsizio, in primo grado, ha condannato a 14 anni di reclusione in abbreviato il 54enne agente immobiliare sudcoreano Dea Hee Park per l’omicidio della moglie, Jung Mea An, 46 anni, sua connazionale, morta cadendo dalla finestra dell’Hotel Ibis di Cardano al Campo la sera del 18 maggio di tre anni fa. Tutte le parti hanno impugnato la sentenza. La procura di Busto Arsizio e la procura generale di Milano hanno sostenuto che l’aver concesso le attenuanti generiche fosse stato un grave errore e che «la giusta pena non potesse essere inferiore ai 24 anni», per dirla con il sostituto procuratore generale Maria Grazia Omboni. Di contro, la difesa, rappresentata dall’avvocato Guido Camera, cui si è associato in appello Guido Carlo Alleva, con 200 e passa pagine di motivi di appello ha ribadito l’innocenza del sudcoreano, che si è sempre proclamato del tutto estraneo alla morte della moglie (un’infermiera di strutture per anziani, sposata pochi giorni prima della tragedia, dopo averla “conosciuta” tramite un annuncio su un’agenzia matrimoniale), e ha chiesto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per acquisire in aula la deposizione del militare della guardia costiera statunitense che assistette all’ultimo drammatico minuto di vita della donna e che, sentito a sommarie informazioni nell’immediatezza, escluse che qualcuno potesse averla spinta.
Al termine di tre ore di camera di consiglio, la prima corte d’assise d’appello di Milano (presidente Ivana Caputo; a latere Franca Anelli) ha scontentato tutti. Nel senso che ha scelto di confermare integralmente la sentenza di condanna di primo grado del settembre di due anni fa.
Premesso che per conoscere le motivazioni dei giudici di appello bisognerà attendere 90 giorni, sembra aver tenuto il teorema accusatorio sostenuto in primo grado dal pubblico ministero di Busto Arsizio Maria Cardellicchio. Il teorema è basato sulla testimonianza di una giovane campionessa della spada sudcoreana (medaglia d’argento alle Olimpiadi del 2012 di Londra) che avrebbe visto «una sagoma di schiena che spingeva il corpo della donna all’infuori in modo da farla cadere». La versione dell’atleta, come hanno spiegato le difese, che hanno sollecitato anche l’inammissibilità degli atti di appello delle due procure, è stata smentita da altri quattro ospiti dell’albergo, tra i quali il militare americano che, due piani di sopra, sentì le urla di Jung Mea An e la vide penzolare nel vuoto, reggendosi al davanzale con una mano, prima di cadere. In quel minuto scarso non vide nessuno vicino a lei. «Perché non c’era nessuno», hanno insistito nella propria, appassionata discussione i due legali. «Come ha verbalizzato il carabiniere intervenuto nella stanza, Park stava dormendo: era alle prese con un sonno alcolico». In altre parole, la caduta della donna non sarebbe stata né un omicidio né un suicidio, sebbene la donna avesse gravi disturbi psichici. Sarebbe stato un incidente. A determinarlo le troppe birre bevute dalla donna, cui è stato refertato un tasso alcolemico tre volte superiore al normale. La signora, che stava mangiando della pizza a bordo della finestra ed era in maglietta, avvolta da una coperta-piumino, avrebbe perso accidentalmente l’equilibrio, cadendo. Il tutto senza che il marito si accorgesse, perché a letto, a sua volta ubriaco. Una ricostruzione alternativa in apparenza realistica. Non però per i giudici togati e popolari.
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