LA SENTENZA
Offese il vigile, ma sottovoce: assolta

«Se scopro che mi hai messo una multa, te la faccio pagare, ti faccio fuori. Anche perché conosco le persone giuste. Sei finito, sei morto». Per queste frasi, dal contenuto senza dubbio ingiurioso, rivolte a un’agente della polizia locale, una quarantasettenne di Travedona Monate è finita sul banco degli imputati per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
In realtà, la donna se l’è comunque cavata con l’assoluzione - tanto in primo grado quanto in appello - per tenuità del fatto reato contestato.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini, infatti, l’imputata non si era lasciata andare a quelle frasi minacciose mentre l’agente le stava elevando una contravvenzione alla sua automobile. Niente affatto. Lo aveva incontrato per strada in paese e, siccome nutriva del risentimento pregresso nei confronti del vigile - che riteneva averla danneggiata nella causa relativa all’affidamento del figlio - si era lasciata andare a uno sproloquio decisamente fuori luogo.
Per sua fortuna, le frasi, come si evince dalle carte processuali, erano state pronunciate a bassa voce. Certo, erano state percepite dal destinatario della condotta oltraggiosa, ma, a parte lui, da nessun altro passante.
Ed è stato proprio quest’ultimo aspetto che ha contribuito a far cadere l’ipotesi dell’oltraggio a pubblico ufficiale per il venire meno di uno degli elementi necessari e fondanti per qualificarlo come tale. Nello specifico, la presenza di più persone estranee sia a chi ha recato offesa all’onore, al prestigio e alla reputazione al pubblico ufficiale, sia al pubblico ufficiale stesso. La caduta della contestazione originaria ha portato però il Tribunale di Varese a derubricare l’oltraggio a pubblico ufficiale nel reato di minacce. Ma qui i giudici di primo grado e, più avanti, la Corte d’Appello hanno reputato il fatto in sé di scarso rilievo, optando perciò per l’assoluzione dell’imputata. I giudici, insomma, ne «hanno escluso la punibilità per particolare tenuità del fatto».
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