LE MOTIVAZIONI
«Binda assolto dalla scienza»
L’appello demolisce la sentenza di primo grado: «Solo congetture»

«Il lungo e faticoso dibattimento non solo non è riuscito a provare che Stefano Binda ha violentato e ucciso Lidia Macchi, ma non è nemmeno riuscito ad adombrare perché mai Binda avrebbe dovuto violentare e uccidere Lidia Macchi».
Leggendo le motivazioni della sentenza della prima Corte d’Assise d’Appello di Milano, che ha assolto e scarcerato il 51enne di Brebbia il 24 luglio scorso, si può affermare senza timore di smentita che il collegio presieduto da Ivana Caputo ha letteralmente demolito sia le conclusioni alle quali era giunto il verdetto di primo grado, della Corte d’Assise di Varese, sia l’intero teorema accusatorio portato avanti dalla Procura Generale di Milano, dopo aver avocato il fascicolo della Procura di Varese nel novembre di sei anni fa. È un teorema colmo «di innumerevoli contraddizioni che inducono più che alla colpevolezza alla ragionevole certezza dell’estraneità dell’imputato», ha scritto il giudice Franca Anelli, estensore delle 262 pagine di motivazione della sentenza d’appello, contro la quale ora Procura Generale e parte civile avranno 45 giorni di tempo per proporre impugnazione davanti alla Corte di Cassazione.
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