L’INTERVISTA
«Noi l’antisistema: via dall’Europa e dal ricatto vaccini»
Gianluigi Paragone (Italexit): «Strappiamo voti a Lega e M5S»

L’immagine del suo profilo di WhatsApp lo ritrae col volto per metà dei personaggi della “Casa di carta” - felpa col cappuccio rosso e maschera somigliante a Salvador Dalì - quando assaltano la banca centrale. Una serie di culto. «Il Professore alla poliziotta che poi passerà dalla sua parte, dice: “Voi sostenete che noi stiamo rubando, ma loro creano moneta solo per i mercati finanziari”. È qualcosa di più di una frase provocatoria... ». Il Professore dell’«assalto al sistema» è, nella realtà di questa campagna elettorale, Gianluigi Paragone, il varesino fondatore di Italexit che, come suggerisce la denominazione, propone l’uscita dall’Unione europea. «Si può fare, eccome se si può fare, basta che sia d’accordo la maggioranza degli italiani».
Antisistema dunque, e non solo contro l’Ue. Nel mirino anche l’obbligo vaccinale, i mercati finanziari, le conseguenze delle sanzioni alla Russia e infine tutti gli altri partiti o movimenti che hanno sostenuto il governo Draghi. I sondaggi lo premiano. La sua Italexit sarebbe sopra la soglia di sbarramento. Pur dovendo fare i conti con qualche mal di pancia: a Pistoia, ad esempio, ci sono state defezioni nel gruppo dirigente locale. Ma il trend sembra comunque favorevole e per certi versi inaspettato. Italexit forse non è più una meteora.
Scusi Paragone, ma la vostra rivoluzione, lo scardinare i Palazzi, è in calze di seta o col grimaldello?
«È una vendetta democratica con l’arma del voto. C’è un 40 per cento di scontenti che non si reca alle urne. Se riusciamo a scongelarlo, anche solo in parte, scombiniamo tutti i piani del sistema. Sento dire da molti: avete ragione, ma sappiamo che poi non cambia nulla. Sbagliato. È il potere che vuole l’astensionismo».
Antisistema, No vax, No Euro, Mister No: quante etichette. Quale le si addice di più?
«Non è questione di etichette. Parliamo di Italexit e dell’impegno che stiamo mettendo in questa campagna elettorale per informare gli elettori su quanto sta accadendo. Sto girando molto, è così che si fa».
Da che cosa partiamo? Le vaccinazioni contro il Covid? Ammetta che la campagna vaccinale in Italia ha ottenuto risposte importanti...
«E come si può dire una cosa del genere quando la vaccinazione è obbligatoria? Guardi, ho visto gente in lacrime dirmi che mai avrebbe voluto vaccinarsi, ma è stata costretta altrimenti perdeva il lavoro. Qui subentra la disperazione. C’è il ricatto vaccinale».
E voi che cosa proponete? Via i vaccini?
«No, ovviamente. Noi diciamo: via l’obbligo vaccinale. Siamo per la libera scelta. Chi vuole sottoporsi lo faccia, visto che adesso c’è in ballo la quarta dose. Massimo rispetto. Ma basta con le costrizioni. E a proposito di quarta dose: come pensa che andrà a finire? Altro obbligo. Del resto, hanno già fatto le scorte di vaccini. Mica possono buttarle... ».
Lei sostiene l’addio all’Unione europea. Senza rimpianti?
«Nessuno. Si può uscire dall’Ue, si può uscire da qualunque cosa se la maggioranza degli italiani lo vuole. Non è un colpo di Stato, a differenza di quanto si è verificato per l’ingresso in Europa».
In che senso?
«C’è stato forse un referendum per chiedere agli italiani se volevano entrare nell’Unione europea? Se ne sono ben guardati. Noi adesso proponiamo un percorso democratico di uscita. È all’articolo uno del nostro statuto. Per gli imprenditori è l’unica salvezza. Questa Europa delle meraviglie gli sta facendo fare la fine della rana bollita».
Ma è proprio tutto così negativo? Bruxelles è nemica?
«Direi di sì. Romano Prodi ci aveva garantito che avremmo lavorato un giorno in meno la settimana e percepito salari maggiori. Non mi sembra che sia andata così. E poi vi ricordate che cosa era prima? Gli italiani hanno potuto risparmiare, comprare la casa. C’era sì il debito pubblico alto, ma c’era anche ricchezza. E il debito, precisiamo per non cadere nell’errore di pensare che oggi sia così per colpa di allora, era legato al fatto che si facevano investimenti in opere pubbliche. Era la spesa pubblica».
Oggi gli investimenti non si chiamano, ad esempio, Pnrr?
«Ma gli italiani non ne beneficiano, è come per i vari superbonus. Ti allettano ma non ti mettono nelle condizione di accedere alle risorse. La gente i soldi non li vede. È una burocrazia creata ad arte per farti credere che esistano degli aiuti. E mettiamoci poi la questione del caro energia...».
Mettiamola. Voi come la vedete?
«Innanzitutto ricordiamo che il caro bollette c’era prima, un anno fa. Adesso le bollette sono proibitive. E con queste spese, il banco salta per le imprese e le famiglie. Il Governo può e deve intervenire, è una favola la giustificazione che non può perché è lì ormai solo per il disbrigo degli affari correnti. Più affari correnti di questo che cosa c’è? Hanno fatto un mese di chiacchiere sul tetto al prezzo del gas e chi ci ha guadagnato sono stati ancora gli speculatori».
L’Europa sembra pronta a intervenire...
«Parlano di 140 miliardi da prendere dagli extraprofitti. Ma per tutta l’Europa. E voglio proprio vedere come arriveranno nel circuito dell’economia reale. In Gran Bretagna gli aiuti vengono accreditati direttamente sul conto corrente. C’è una bella differenza».
Paragone ne parla mentre si trova in viaggio verso Roma dove ieri, nel tardo pomeriggio, ha organizzato una protesta davanti alla sede dell’Eni. Fate la voce grossa?
«Chiediamo che gli extraprofitti vengano girati sui conti correnti degli italiani. Eni è un’azienda parastatale. Dove sono Draghi e Giorgetti?».
Parliamo di sanzioni alla Russia. Sono state confermate.
«Ci sono imprenditori che hanno faticato tanto per ritagliarsi una fetta di mercato in Russia. Ora stanno andando a gambe all’aria. Se l’Europa vuole andare contro la Russia per aiutare Zelensky, l’eroe buono a prescindere, si assuma anche la responsabilità di risarcire le nostre imprese. Le sanzioni le stiamo pagando noi, mica Putin».
A proposito di Putin: che cosa ne pensa delle presunte ingerenze e dei presunti fondi a favore della Lega?
«Strani pizzini. Facciano nomi e cognomi, se esistono».
Torniamo alle elezioni del 25 settembre. Facciamo una previsione...
«La Meloni è già in carica, farà la presidente del Consiglio perché ha dato tutte le garanzie del caso. Mattarella le ha detto che deve andare avanti con l’agenda Draghi, con l’atlantismo supino e con la quarta dose del vaccino. E questo va bene anche alla sinistra».
Non è una previsione da antisistema a priori?
«Anche all’estero hanno già sdoganato l’Italia con Mattarella e Meloni. Più di così?»
E voi che ruolo giocherete in Parlamento?
«I cani da guardia, quelli che non gliene faranno passare una. Quelli che non avranno timore a dire che c’è un elefante nella stanza mentre gli altri fingono di non vederlo».
A chi pensate di rosicchiare voti?
«Al bacino leghista che non si è dimenticato di Salvini con le felpe No euro e poi l’appoggio a Draghi».
Solo alla Lega?
«Ovviamente no. Ci voteranno anche coloro che speravano nel Movimento 5 Stelle e sono rimasti fregati».
Dente avvelenato con i grillini?
«Il Movimento 5 Stelle secondo me dovrebbe sparire. Conte è stato un bluff. Al Sud resiste grazie al reddito di cittadinanza che è la sua rendita elettorale. Se voleva stare dalla parte dei più deboli, spieghi perché non ha revocato la concessione autostradale ai Benetton e perché ha pagato Fc Auto per distribuire le mascherine nelle scuole. E visto che c’è, parli anche dei risultati del supercommissario Arcuri».
Enrico Letta può riuscire a colmare il divario che i sondaggi danno rispetto al centrodestra?
Paragone è tranchant: «Letta è uno sconfitto parlante. Farà gli ultimi comizi e poi tornerà in Francia. Vorrei anche aggiungere una cosa sul voto: saremo ai seggi come delle sentinelle per vigilare sullo scrutinio e sulla verbalizzazione dei voti. Siamo un partito antisistema, non mi fido tanto».
Paragone, lei oltre che politico è anche un giornalista. Come valuta, in generale, l’informazione?
«Riesce ancora nelle operazioni di creare il vincitore, come sta succedendo ora con la Meloni, operazione alla quale partecipa anche Repubblica. Ed è anche l’informazione che s’inchina a Draghi, senza osare mai una critica».
Lei vive a Varese. Come la giudica?
«Come la definiva Montanelli: un deserto ben attrezzato. A Varese comunque si vive bene, amo la mia città anche se ci sono poco. E quando ci sono, tengo a fare vita molto riservata».
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