IL PROCESSO
Peruviano confessa l’incesto
L’ammissione shock in aula: «Mia figlia non si opponeva». È accusato di violenza sessuale

Il colpo di scena, quello che ha segnato l’epilogo del processo, è avvenuto durante l’esame dell’imputato: «È vero, avevo rapporti sessuali con mia figlia. Ma lei non si è mai opposta». Una dichiarazione agghiacciante quella resa dal peruviano davanti al collegio giudicante.
Davanti all’ammissione, l’avvocato ha subito chiesto a pubblico ministero e collegio di formulare una nuova contestazione, quella di incesto, che avrebbe consentito la riapertura dei termini per chiedere il rito abbreviato. La procura ha ritenuto che questo nuovo reato non sussista, perché manca il requisito del pubblico scandalo. Quindi, un genitore può abusare della prole senza rispondere dell’accusa specifica, a patto che lo squallore non trapeli dalle mura domestiche. A poco è valsa l’obiezione della difesa che ha ricordato l’esistenza di un’intercettazione in carcere in cui un detenuto connazionale dell’imputato parlava con la moglie dei rapporti tra l’amico e sua figlia.
Quindi il processo proseguirà, a porte chiuse, davanti al collegio giudicante di Varese.
L’uomo è in carcere a Pavia da gennaio del 2017, in seguito all’aggravamento della misura di divieto di avvicinamento alla ragazza. I fatti contestati sarebbero iniziati quando la vittima - assistita dall’avvocato Andrea Febbraro - era appena tredicenne. Lui, la moglie e la piccola vivevano a Busto Arsizio. Un giorno la consorte decise di andarsene di casa con l’amante e la famiglia si smembrò. Il padre si trasferì ad abitare a Varese, luogo in cui è stato commesso il delitto più grave determinando la competenza delle indagini.
In quel contesto si sarebbe sviluppata la relazione malata con la ragazzina: «Ero disperato perché mia moglie mi aveva abbandonato», ha cercato di giustificarsi il sudamericano in aula. «Non so come sia potuto accadere, ma è successo. Lei veniva a dormire nel mio letto e così capitava».
Fu la vittima a raccontare degli abusi subiti: lo fece con un pastore evangelico preoccupato dai disturbi alimentari della giovane. Piangendo, la ragazza ammise l’origine dei suoi problemi di bulimia: «Non l’ho mai detto nemmeno alla mamma perché avevo paura che non mi capisse».
Il religioso informò la madre e tutti insieme si recarono dai carabinieri di Busto Arsizio per sporgere denuncia. Emerse così che all’età di quindici anni la studentessa si ritrovò alle prese con l’angoscia di una gravidanza indesiderata. Il padre le consigliò di fare il test, che per fortuna dette esito negativo. Emerse anche che dal genitore la ragazza aveva contratto il virus del papilloma, che a lungo andare può generare un tumore. Sta di fatto che il gip di Varese firmò il divieto di qualsiasi tipo di contatto tra l’indagato e l’adolescente. La ragazzina, evidentemente plagiata ed emotivamente turbata, faceva però di tutto per rivedere il padre. Falsi profili Facebook attraverso cui comunicare, appuntamenti segreti, come se la loro fosse una relazione clandestina. Proseguirono quindi anche gli episodi incestuosi, l’ultimo dei quali a novembre del 2016. Era il compleanno del padre e lei lo raggiunse «per il regalo». Ma l’inquietudine e il disagio la spinsero a rivelare tutto agli inquirenti, così per l’uomo scattò l’aggravamento della misura cautelare. E visto che nel frattempo era stato già disposto il rinvio a giudizio, la procura formulò nuove contestazioni, quindi il peruviano dovrà affrontare un altro processo, sempre per atti sessuali con minorenni appesantiti dal legame di sangue. La sentenza per il primo filone arriverà con l’anno nuovo.
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