L’INTERVISTA
Petrone a processo. «Mensa dei Poveri? Non escludo la richiesta di revisione»
L’ex assessore di Forza Italia a Gallarate a settembre in Aula. Deve difendersi dalle accuse di maltrattamenti in famiglia

Inizierà a settembre, davanti al giudice Cristina Ceffa, il processo all’ex assessore di Forza Italia Alessandro Petrone. Il quarantanovenne è accusato di maltrattamenti in famiglia, un addebito che l’avvocato – difeso dall’avvocato Concetto Galati – respinge seccamente. In pace con la sua coscienza, Petrone ha scelto il dibattimento, invece di un più comodo rito alternativo, per dimostrare pubblicamente la sua innocenza.
Petrone, questa vicenda giudiziaria le crea molta amarezza.
«Sì, soprattutto per come sono stato trattato dalla stampa forcaiola. Alcuni giornalisti mi hanno attaccato con cattiveria, senza neppure ascoltare la mia versione dei fatti. Hanno espresso giudizi morali che non accetto. Spero se ne rendano conto per come poi sono andate le cose».
È stato arrestato il 30 marzo dalla polizia, il 4 aprile è stato scarcerato. Gli elementi erano deboli.
«Certo il gip non mi ha rimesso in libertà per farmi un favore o perché gli sono simpatico. Ha ascoltato le due ore di interrogatorio con grande attenzione e senza preconcetti e si è reso conto che il contenuto della denuncia non corrispondeva alla realtà dei fatti».
La denuncia è stata sporta dai suoi familiari.
«Qualcuno dovrebbe vergognarsi per queste accuse mendaci, soprattutto chi predica la carità cristiana. Non sono un chierichetto e, aggiungo, per fortuna. Ma sfido chiunque a superare ciò che ho passato. A sedici anni arrestarono mio padre davanti a me, mi fecero aprire la cassaforte in cerca di non so cosa e trovarono solo i Playmobil. Fu un trauma per me. E poi la mia vicenda, la detenzione a San Vittore, il patteggiamento che ho scelto solo perché è uno strumento di deflazione processuale. Non escludo in futuro la richiesta di revisione processuale, anche perché io sono capitato nell’epoca delle assurde leggi grilline».
Mensa dei poveri fu la nuova Manipulite. Suo padre Tullio le rimase vicino?
«Mio padre è morto per questa cosa. Mi disse: “Stanno facendo a te quello che hanno fatto a me”. Ritengo di avere le spalle forti, la galera negli anni Novanta era costata la vita a Sergio Moroni e Gabriele Cagliari, non dimentichiamoceli. Si uccisero anche a causa della stampa forcaiola, si torna sempre al solito punto. Questa volta con me hanno esagerato. Sono tutte falsità, non ci sono maltrattamenti, litighiamo per questioni economiche».
Una sorta di Dynasty gallaratese?
«Mio padre è scomparso nel 2021 per una malapratica medica, siamo in causa con l’ospedale abruzzese in cui era ricoverato. Fino a quel momento non c’erano stati conflitti. Adesso attendiamo i soldi del risarcimento. Sì, forse ero il cocco di papà ed ero ambizioso e ansioso. Ma non prendo lezioni di moralismo. Ho la mia vita, non ho più contatti con nessuno, sono stabile in Ticino, iscritto all’Aire, sono un avvocato imprenditore e di Gallarate non voglio più sapere niente. Mi lasciassero tutti in pace».
Come si vive in Svizzera?
«Le istituzioni sono più equilibrate, è tutto più decoroso, la civiltà si rispecchia anche nelle carceri. Io sono stato in quello di Busto Arsizio ed è stato un incubo, è un istituto punitivo, è molto peggio di San Vittore. Penitenziari, tribunali, ospedali e scuole sono lo specchio della società: da noi sono fatiscenti, disagiati, mal funzionanti. La politica non capisce che si debbano pagare di più e meglio i pilastri, ossia gli insegnanti, gli infermieri e le forze dell’ordine».
Gallarate è un capitolo chiuso quindi.
«Sì, completamente. A parte che non la riconosco più, oggi è diventata deserta e spenta. Manca il coraggio della firma e nessuno si rende conto che per rallentare una città ci vogliono vent’anni mentre per farla ripartire ne servono almeno cinquanta. Io Gallarate non la rivedrò nella sua forma migliore e in fondo mi dispiace. Però non è più un cruccio mio».
Il servizio completo sulla Prealpina di domenica 1 giugno, in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
© Riproduzione Riservata