IL PERSONAGGIO
«Piero Chiara, che juke-box»
Bruno Gambarotta oggi a Varese per raccontare il suo amico «scrittore di lago»: un narratore straordinario

«Straordinario, un juke-box letterario; tu dicevi il nome dell’autore e lui iniziava a parlarne a lungo. Se poi accennavi a Boccaccio o a Conrad si faceva notte, rischiavi di non tornare più a casa».
Ecco Piero Chiara secondo Bruno Gambarotta. Lo scrittore, giornalista, conduttore televisivo, radiofonico e attore («Non ci siamo dimenticati niente?) è oggi a Varese, al salone superiore del Caffè Zamberletti di corso Matteotti. Essendo un’iniziativa organizzata nell’ambito del Premio Chiara, facile immaginare di chi si parlerà prevalentemente.
«Ho conosciuto Chiara bene, posso dire di essere stato suo amico. Abbiamo anche lavorato insieme proprio a Varese».
Correva l’anno 1970 e Gambarotta curava per conto della Rai la produzione de “I giovedì della signora Giulia”, sceneggiato in cinque episodi, tratto da un romanzo di Chiara. Storia di una misteriosa scomparsa, appunto quella della signora Giulia, e della relativa inchiesta. Interpretato, tra gli altri, da Claudio Gora, Martin Brochard e Tom Ponzi (ovviamente nei panni dell’investigatore), portò sul Programma Nazionale, l’attuale Rai Uno, scene girate a Biumo Superiore (Villa Francesco), Masnago (via Vela e il bar Vela) e sul piazzale della stazione di Casbeno che appare ancora non asfaltato.
«Chiara era un narratore eccezionale sulla carta ma anche - e non è dote di tutti gli scrittori - oralmente. Del resto era cresciuto alla scuola degli affabulatori di lago, quelli che tanto hanno influito sulla formazione di Dario Fo, altro gigante nato dalle vostre parti».
Grazie all’autore de “La stanza del vescovo”, Gambarotta ha conosciuto Vittorio Sereni e Renato Guttuso.
«Fu lui a presentarmeli. Purtroppo non sono mai stato nello studio di Velate del pittore; gli incontri erano in case di comuni amici varesini».
Lontano da Varese, lo scrittore piemontese, nelle vesti di attore, ha diviso lo schermo con un altro luinese: Massimo Boldi.
«Simpaticissimo come sapete certo meglio di me. Il film era “Cucciolo”, una commedia di Neri Parenti in cui Massimo interpretava un uomo che non voleva crescere, più che un bamboccione un eterno bambino, che si comportava e vestiva come tale. Peccato avesse 42 anni. Viveva con i genitori esasperati. Bene, nel film, Boldi è mio figlio. Davanti al copione e durante le riprese mi sono divertito molto. Specie pensando che ho solo otto anni in più di lui, dunque ero un padre precoce».
Pensiero finale dedicato alla squadra del cuore, il Torino.
«Lunedì sera ero sul palco del Teatro Carignano molto attento a quanto mi comunicavano dalla platea: «Abbiamo vinto 4 a 1; festa grande».
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