LA SVOLTA
"Pippo uccise la moglie: indagate"
La Procura generale chiede la riapertura del caso della morte della prima consorte di Piccolomo

Il sostituto procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano Carmen Manfredda ha fatto avere al procuratore della Repubblica di Varese Maurizio Grigo una lettera (con tanto di documentazione allegata) che "scotta".
Una lettera in cui, senza mezzi termini, si sollecita la Procura varesina a richiedere al gip del Tribunale di Varese l’autorizzazione alla riapertura delle indagini nei confronti di Giuseppe Piccolomo "per omicidio volontario, commesso in Caravate, il 20 febbraio 2003, in pregiudizio della moglie, Marisa Maldera".
Si tratta, ovvio, di un grande colpo di scena.
Anche perché Piccolomo, salito alla ribalta delle cronache nazionali come l’autore del delitto delle mani mozzate di Cocquio Trevisago, l’11 ottobre di quasi otto anni fa "incassò" dal gip di allora un decreto di archiviazione parziale proprio per quanto riguarda l’accusa di aver ucciso volontariamente la moglie, morta carbonizzata in un incidente d’auto avvenuto a Caravate.
Quell’archiviazione, tra l’altro, fu sollecitata dal pm titolare del fascicolo dell’epoca, che, non a caso, patteggiò con la difesa di Piccolomo una un anno e quattro mesi per omicidio colposo (sentenza del 23 gennaio 2006).
Perché il magistrato che ha chiesto e ottenuto nel febbraio scorso la conferma in appello della condanna all’ergastolo dell’autore dell’omicidio di Carla Molinari, ora invoca la rivalutazione del fascicolo dell’incidente occorso alla prima moglie di Piccolomo?
Primo, per le dichiarazioni delle due figlie dell’ex ristoratore e della signora Maldera, Filomena Cinzia e Nunzia; secondo, per le evidenti analogie che caratterizzano lo "strano" incidente di Caravate, apparentemente determinato dall’incendio della vettura in cui la donna era rimasta intrappolata dopo lo sbandamento dell’auto guidata dal marito e l’uscita di strada, e il delitto della povera Carla Molinari.
Ad onore del vero, da dieci anni le due figlie di Piccolomo sospettano che la morte della madre non fosse conseguenza di un incidente, bensì l’esito dell’azione premeditata e volontaria del padre (per liberarsi della consorte e sposare, come ha poi fatto, la cameriera marocchina), ma la loro versione è sempre rimasta inascoltata.
Ora, al contrario, quella versione è valorizzata al massimo dal sostituto pg Manfredda (che ha convocato e messo a verbale le dichiarazioni delle due figlie di Piccolomo nel suo ufficio a Milano), tanto più che sarebbe corroborata da tutta una serie di elementi di novità (e, cioè, nuove prove e testi da identificare e interrogare) tali da giustificare nuove investigazioni.
Non basta. Avendo avuto accesso diretto agli atti dei due fascicoli, il pm Manfredda si sarebbe convinta delle tante (troppe?) analogie che accomunano la fase ideativa del delitto di Cocquio e la fine di Marisa Maldera. A cominciare dall’accurata premeditazione, che a suo dire avrebbe compreso anche evidenti tentativi di depistaggio e di mistificazione da parte di Piccolomo.
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