IN TRIBUNALE
Porto Ceresio, «l’assessore stoppò il vigile»
Pozzi a processo per interruzione di pubblico servizio

L’assessore a Sicurezza e Polizia locale impedì all’agente e agli operai della ditta incaricata dal Comune di posizionare i dissuasori della sosta vicino al bar dei propri parenti, in via Matteotti.
Questa l’accusa che ha portato in Tribunale a Varese, con l’accusa di interruzione di pubblico servizio, Franco Pozzi e altre quattro persone, i titolari del locale e altri due famigliari. Uno dei quali è pure finito nei guai, insieme con il progettista, per i lavori eseguiti su quella stessa strada per realizzare un parcheggio a disposizione dei clienti del bar.
La prima udienza del processo a carico di Pozzi, ex assessore dell’amministrazione guidata da Jenny Santi, s’è svolta nei giorni scorsi davanti al giudice Davide Alvigini. Ma è servita solo a fissare il calendario del dibattimento: i primi testimoni saranno sentiti a luglio. Una vicenda, quella del marciapiede, che risale a giugno del 2020 e che ebbe conseguenze politiche di non poco conto in riva al Ceresio: Pozzi, infatti, diede le dimissioni dalla giunta pochi giorni dopo, seguito da altri consiglieri di maggioranza. E poi da quelli di minoranza, con tanto di critiche al sindaco proprio per la gestione della questione relativa al marciapiede comunale di via Mazzini-Matteotti. Minoranza che più volte aveva segnalato la situazione di pericolo per i pedoni legata al parcheggio che “invadeva” il marciapiede.
Segnalazioni, da parte di passanti urtati dalle auto in transito perché costretti a scendere sulla strada, erano arrivate anche alla caserma dei carabinieri di Porto Ceresio che hanno poi indagato sull’episodio del 23 giugno 2020. Quando un agente di polizia locale si presentò in via Matteotti per installare i paletti destinati a rendere impossibile la sosta delle auto nel parcheggio nei pressi del bar Ofelè. Intervento che era già stato intimato, senza successo, dal municipio ai titolari del locale e che gli operai quel giorno non poterono portare a compimento.
L’ACCUSA
A impedirglielo - secondo l’accusa - furono lo stesso Pozzi, responsabile di quel settore comunale, e i suoi quattro parenti. In che modo? «Opponendosi fisicamente e verbalmente» al vigile urbano e agli addetti della ditta di segnaletica.
Per l’interruzione di pubblico servizio, reato contestato a cinque imputati, è prevista una pena fino a un anno di reclusione. È di tre anni, invece, la pena massima per la violazione della legge sul procedimento amministrativo, di cui devono rispondere progettista e titolare per aver «falsamente attestato» la piena proprietà dell’area oggetto dei lavori. Area che, per la difesa (tutti sono assistiti dall’avvocato Selene Profita), era di proprietà privata e su cui quindi il Comune non poteva intervenire.
Nessun commento sulla vicenda da parte dell’ex assessore Pozzi.
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