FAMIGLIA BUSTOCCA
Rachele Ferrario racconta Margherita Sarfatti, tra arte e fascismo

Bustese doc, storica, docente e critica d’arte, da sette anni a questa parte anche scrittrice di biografie di donne famose dell’arte per Mondadori. Rachele Ferrario, con l’ultimo suo libro «Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista», ha fatto doppiamente centro. Da un lato affronta un periodo di grande interesse per gli appassionati dell’arte italiana, da inizi ‘900 alla seconda guerra mondiale, dall’altro allarga la platea dei lettori raccontando la storia «dell’amante del duce».
Al centro della scena dunque Margherita Sarfatti, l’intellettuale che agli inizi scriveva a Mussolini lettere d’amore infuocate: «La tua lettera mi ha reso folle, mio amore. L’ho letta tornata a leggere riletta con gli occhi con il cuore con le labbra che leggevano e baciavano insieme». Per poi dire, però, a pochi anni di distanza, «Addio sei un assente dalla mia vita, che non ti interessa più. Troppo piccola cosa adesso sono per te. Non sai che farmi scene, da qualche tempo a Roma…». E diventare più tardi addirittura l’ebrea errante che fugge in Sud America.
Un racconto vero, senza invenzioni (tante le fonti), fatto con una scrittura fluida, chiara e accattivante, in cui le storie degli artisti (dai Futuristi al gruppo del Novecento) s’incrociano con la parabola del «Dux» e della Sarfatti. La donna di straordinaria intelligenza e cultura che più ha influenzato l’ideologia fascista nel suo nascere per poi contrastarla negli anni dell’espansione imperiale e della follia hitleriana.
Il bel volume pubblicato da Mondadori (412 pagine più 6 pagine di immagini a colori, 25 euro), sta avendo in Italia le presentazioni e le recensioni riservate ai libri di grande successo: un’intera pagina sul maggiore quotidiano nazionale, entra nel salotto di Bruno Vespa su Rai 1, incontra i lettori nei luoghi che contano a Roma, Firenze, Bologna, Torino; a Milano è alla Fondazione Corriere della Sera con Aldo Cazzullo. Ha già avuto una presentazione a Busto Arsizio, ma ora fa il bis lunedì 15 febbraio alle 17.30, nella sede della Famiglia Bustocca (via Fratelli d’Italia 7 in un incontro con il critico Fabrizio Rovesti, che le ha rivolto in anteprima alcune domande.
Rachele Ferrario partiamo da un dato storico: Margherita Sarfatti quanto incoraggiò secondo lei la Marcia su Roma?
«Non solo la incoraggiò ma la sostenne. O marci o muori, dice a Benito Mussolini mentre sono al Soldo, la casa di campagna della Sarfatti a Cavallasca, vicino a Como, non lontano dal confine con la Svizzera. Margherita ha portato lì Mussolini in modo che lui possa scappare all’estero se il colpo di Stato fosse andato male».
Come si spiega che la maggiore critica del tempo prima sostiene l’avanguardia futurista e dopo la grande guerra costituisce il gruppo Novecento per la rinascita di uno stile classico?
«Spostando l’ottica e rileggendo il Novecento di Funi, Sironi e gli altri non come un ritorno ma, appunto, come un rilancio della cultura italiana. La Sarfatti pensa in grande e vuole confrontarsi con la cultura internazionale europea. E sa che l’arte italiana può tornare a essere grande come lo è stata nel passato. Nel Quattrocento, nel Cinquecento, nel Seicento l’Italia era il centro del mondo e l’arte dei nostri artisti un punto di riferimento».
Si può parlare di un’arte del Ventennio?
«Si può parlare di cultura e arte che durante il fascismo è caratterizzata da espressioni più libere e indipendenti dal regime di quanto non si crederebbe. Basta leggere le lettere di Sironi alla Sarfatti in cui lui si lamenta che gli artisti sono lasciati soli dal sindacato e che Il fascismo è nettamente a-artistico e le cose dell’arte sono sempre più dimenticate come superflue o intempestive e in cui Sironi conclude amareggiato: Meglio lo sport di qualunque gradazione...».
L’immaginario collettivo fascista legato alla sfera simbolica dell’antica Roma (d’ispirazione sarfattiana) ha sollecitato in Mussolini l’idea dell’Impero?
«Come ha scritto da subito Renzo De Felice (lo storico del fascismo che l’ha voluta conoscere prima che lei morisse) è Margherita Sarfatti a instillare in Benito Mussolini l’idea della romanità. In Dux - il suo errore come scriverà lei stessa più tardi quando tutto sarà finito - lo descrive come un condottiero romano. È lo stesso uomo che firmerà le leggi razziali o razziste e il cui ricordo dopo i fatto di piazzale Loreto sarà molto più ridimensionato. Un uomo goffo che non sa nemmeno stare in sella a un cavallo con eleganza. Non dobbiamo dimenticare che Margherita Sarfatti era anche ebrea e per questo costretta a scappare».
Come fu accolta Margherita Sarfatti dall’ambiente artistico al rientro in Italia dopo la caduta del fascismo?
«Male naturalmente. Montanelli ha lasciato una pagina memorabile in cui descrive come i colleghi del Pen club diretti da Venezia a Vicenza, una volta riconosciutala a bordo del pullman che li trasportava, l’avessero obbligata a scendere in mezzo alla campagna. Montanelli era sceso con lei».
Per questa biografia di donna a suo tempo famosa in America come in Europa sono previste traduzioni all’estero?
«Perché no? sarebbe la prima biografia su Margherita Sarfatti scritta da un italiano tradotta per l’estero e non il contrario».
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