IL CASO
Reintegrato a scuola, 10 anni dopo
Il giudice del lavoro dà regione all’aspirante tecnico informatico escluso dalle graduatorie per un ticket da 93 euro pagato in ritardo

Vincenzo Conti Nibali, 55 anni, aspirante assistente tecnico informatico nella scuola pubblica, l’aveva promesso: «Non mi faccio lasciare a casa perché dieci anni fa non ho pagato subito 93 euro e 50 centesimi per una visita medica». E alla fine il giudice del lavoro del Tribunale di Varese Dario Papa gli ha dato ragione e ha ordinato al ministero dell’Istruzione di inserirlo «nella graduatoria permanente di assistente tecnico del personale ATA», per la quale aveva fatto domanda nel 2015 ottenendo un no come risposta dall’Ufficio scolastico provinciale sulla base di una storia quasi kafkiana. La storia di un sassolino che diventa una frana. La storia di una «disattenzione» che molti anni dopo diventa appunto espulsione da tutte le graduatorie, con il rischio di una condanna alla disoccupazione che per fortuna non c’è stata.
Nel 2005 il tecnico informatico non pagò un ticket sanitario da meno di 100 euro per un equivoco e mise le cose a posto l’anno successivo. Salvo scoprire che a suo carico c’era comunque un procedimento penale per truffa ai danni dello Stato e falso ideologico, con decreto penale di condanna, cancellato però dall’indulto. Per questo nel 2015, quando chiede di entrare nel mondo della scuola, nella prima fascia del personale ATA, nella domanda dichiarò di non aver subito condanne penali. Della storia del ticket e di quello che ad essa era seguito non si ricordava più.
Ma per il provveditorato la sua è una «dichiarazione mendace» e per questo Conti Nibali viene depennato da tutte le graduatorie e gli vengono negate anche supplenze come quelle che ha già fatto per 25 mesi. Il ragionamento è che avrebbe dovuto dichiarare alla pubblica amministrazione anche un reato estinto, per il quale non aveva subìto nessuna conseguenza, e del quale non c’è traccia nel suo casellario giudiziario, a meno di chiederne una “visura”.
Ma ora la magistratura riporta per fortuna la vicenda nell’alveo del buon senso.
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