RENATO POZZETTO
Io, il saltimbanco di Laveno Mombello
Il ragazzo di campagna compie 80 anni. «Posso dire di avere imparato a leggere con La Prealpina. Il mio film migliore? Il prossimo»

Il saltimbanco (lui ama definirsi così) Renato Pozzetto compie 80 anni, li festeggia nella casa di Laveno - ne ha un’altra a Milano - con vista sul lago. Sulla data di nascita, 14 luglio 1940, sono tutti d’accordo, non sul luogo.
Wikipedia e MyMovies scrivono che lei è nato a Laveno Mombello, per altri è di Milano; chi ha ragione?
«Sono nato a Milano ma che qualcuno mi creda lavenese in fondo non mi disturba affatto perché mi sento uomo di lago. I miei lasciarono la Milano bombardata nel 1943, a tre anni ero già da queste parti, la mia prima elementare è stata a Gemonio, posso dire di avere imparato a leggere con La Prealpina. Anche una volta tornati ad abitare a Milano, abbiamo sempre fatto le vacanze qui. A Laveno ho una casa, una Locanda che porta il mio nome, il rapporto è così profondo che è come se davvero ci fossi nato».
Per questo ha scelto di festeggiare il compleanno dalle nostre parti? Quanti saranno gli invitati?
«L’emergenza coronavirus mi ha sorpreso a Milano, appena finito il lockdown, sono venuto dove comunque torno ogni week end e resto gran parte dell’estate. Ho la fortuna di avere una casa grande, accogliente, che offre un bel panorama. Francesca e Giacomo, i miei figli, con i loro figli mi hanno già raggiunto e altri parenti, compresi quelli che vivono negli Stati Uniti, sono in arrivo. Quando a Natale ci ritroviamo tutti, siamo una quarantina, forse saremo un po’ meno ma non di molto».
Ci sarà anche Cochi?
«Non so se proprio il 14 ma ci vedremo presto. Siamo amici sin da quando eravamo bambini a Gemonio, abbiamo iniziato e proseguito a lungo insieme la carriera, il giorno in cui mi proposero di debuttare al cinema da protagonista, in un film senza di lui, “Per amare Ofelia”, mi sentii in dovere di interpellarlo. Uno dei miei ultimi spettacoli teatrali si intitolava “Siccome l’altro è impegnato”, più chiaro di così».
Lei è cabarettista, attore, autore, sceneggiatore e regista, perché si definisce semplicemente un saltimbanco?
«Perché appartengo a una generazione nata in quel modo. Sin dalle prime esibizioni con Cochi nelle osterie della nostra zona, e poi al Derby di Milano, si imparava un po’ di tutto: recitare, cantare, fare il coro, accompagnare gli altri con la chitarra, occuparsi di luci e scenografie. Esperienze risultate poi utilissime per il cinema».
Il film del cuore?
«Dicono ne abbia girati settanta, per me sono sessanta, comunque troppi per indicare un preferito senza fare torto agli altri. Il più visto in assoluto, anche per i tanti passaggi tv, resta “Il ragazzo di campagna” ma non è il migliore. Confesso di avere una certa simpatia per “È arrivato mio fratello”, che mi ha permesso di sdoppiarmi, ma preferisco rispondere che il film migliore sarà il prossimo».
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