IL PROCESSO
«Aveva comportamenti anomali»
La testimonianza degli infermieri che lavoravano con l’ex viceprimario Cazzaniga

«È fatto così», rispondeva il primario Nicola Scoppetta quando le sue infermiere si lamentavano di Leonardo Cazzaniga.
«Stai tranquilla, ci penso io», rassicurava.
Ma “Leo” restava sempre al suo posto, libero di insultare, aggredire verbalmente, di scambiarsi effusioni con l’amante Laura Taroni e soprattutto libero di applicare il suo protocollo letale.
Dovette passare del tempo prima che i vertici ospedalieri decidessero di istituire una commissione che ne valutasse l’operato.
È emerso ieri, venerdì 22 giugno, durante la nuova udienza di Angeli e Demoni. A quanto pare l’atteggiamento dell’ex vice primario del pronto soccorso - a processo per quattordici omicidi, tre dei quali nel contesto familiare di Laura Taroni - degenerò nel 2011, periodo in cui, coincidenza vuole, iniziò la sua storia d’amore con l’ex infermiera.
«Iniziò a esasperare il suo modo arrogante, il clima divenne pesante.
Un giorno discutemmo sull’attribuzione di un codice colore per un paziente e lui mi disse “se mi rispondi ancora così ti spacco la faccia”», ha raccontato l’infermiera Tiziana Balzarotti. Che sottoscrisse anche una segnalazione collettiva presentata dai colleghi alla coordinatrice infermieristica Raffaella Banfi - anche lei sentita ieri - la quale la sottopose al primario.
Risultato?
«Nessuna risposta». Francesca Riva, un’altra infermiera ascoltata, si sentì apostrofare da Cazzaniga come «un gatto attaccato ai maroni, come un cactus spinoso».
Anche lei era a conoscenza del protocollo Cazzaniga: «Un mix di oppioidi per accelerare il decorso di anziani oncologici o in gravi condizioni, con insufficienza respiratoria o demenza. So che era stata fatta la segnalazione alla direzione, quindi a Paolo Valentini, per il suo protocollo».
Il nodo processuale da sciogliere è la finalità di quel protocollo: eutanasia, cure palliative, sedazioni analgesiche? Qual è il discrimine?
L’argomento è stato affrontato in un breve scambio di battute tra il pubblico ministero Maria Cristina Ria, l’avvocato Ennio Buffoli e una teste. Quali intenti avrebbe avuto l’imputato con il suo personalissimo protocollo? Alleviare le sofferenze dei pazienti terminali o condurli più rapidamente alla morte? L’accertamento della verità è ancora lontano.
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