IL RACCONTO
«Su una barella come in una bolgia dantesca»
Lettera della figlia di una 85enne lasciata 24 ore in corridoio al Pronto soccorso di Varese

«Una donna di 85 anni in fondo a un corridoio, sola, in barella, senza un campanello, senza possibilità di essere aiutata poiché gli operatori sono tutti impegnati in quella bolgia dantesca».
Così la figlia di una paziente del Pronto soccorso dell’ospedale di Circolo, a Varese, riassume le condizioni in cui sua madre è rimasta per più di 24 ore. Una testimonianza-denuncia che fa da contraltare alle lettere di persone che, sul nostro giornale, spesso elogiano la sanità pubblica. Ma che descrive il disagio e il senso di impotenza dei famigliari di anziani ammalati per i quali è sempre più difficile trovare un letto libero in reparto. «Perché una persona anziana deve essere trattata così?». La nostra lettrice contesta anche il linguaggio usato da alcuni operatori sanitari nei confronti della madre.
Conversazione in Pronto soccorso
Luogo: Pronto soccorso di Varese
Orario: circa 00.30
Protagonisti: paziente, signora di 85 anni, e medico di turno
Signora: «Dottore, sto molto male, il dolore è davvero tanto. Sto cercando di resistere, ma faccio fatica».
Medico: «Chiamami A. (e dice il nome di battesimo), che dottore mi rende nervoso... Ora le tue preoccupazioni, sono le mie preoccupazioni... Sono bravo nel mio lavoro, sai?» (con evidente tono di scherno come se parlasse con una bimba di tre anni)
Signora: «Va bene, ma sto davvero male».
Medico: «Ora ti do un antidolorifico più forte e un sonnifero, così ti rincoglionisci per bene e dormi» (testuale in mia presenza)
Antefatto. La signora in questione è mia madre. È talmente riservata e timida che le diciamo sempre che se un camion la mettesse sotto, sarebbe lei a chiedere scusa per essere stata investita.
Ieri mattina presto si sente male, chiama l'ambulanza. Mi avvertono e corro in ospedale. Personale gentile, deve fare gli esami di controllo. Sospetta trombosi a un arto inferiore. Gli infermieri le danno tutti del TU. Passa la mattina e attendo in sala d'aspetto perché, giustamente, in Pronto soccorso non si può entrare. Torno nel pomeriggio: esami fatti, situazione sotto controllo, riesco a parlare con un medico e a salutarla brevemente.
Alle 22.35 mi chiama: «Sara, sto male, qui non c'è nessuno. Chiamo, ma non viene nessuno». Prendo l'auto e mi precipito nuovamente in ospedale, ma non mi fanno entrare, in Pronto soccorso non si può entrare. Dimenticavo, sono 15 ore che è in barella in Pronto soccorso e purtroppo in reparto, IN NESSUN REPARTO, C'È UN LETTO LIBERO.
Riesco ad entrare, sfruttando una porta aperta. È in fondo ad un corridoio, sola, in barella, senza un campanello, senza possibilità di essere aiutata poiché gli operatori sono tutti impegnati in quella bolgia dantesca e, per di più, stanno lavorando al di là di pesanti porte, oltre le quali la voce di una paziente di 85 anni non giunge e non potrà mai giungere. La flebo è terminata da un'ora, mia madre trema, sta male. Chiamo il medico e, dopo che un infermiere sgarbatamente mi risponde che «ci sono altri pazienti», si svolge il colloquio che ho fedelmente riportato sopra. Passano ancora quasi due ore prima che abbia un nuovo antidolorifico e un sonnifero che non è quello prescritto dal medico perché, mi dice un altro infermiere gentile, «purtroppo quello è finito». Sono quasi le due del mattino e io non ho nemmeno una sedia alla quale appoggiarmi. Ne prendo una in una stanza (che poi ho rimesso a posto) e, almeno, mi siedo.
Questa mattina mia madre è ancora in barella, ancora in un corridoio e sono passate più di 24 ore.
Ora mi domando: perché? Perché una persona anziana deve essere trattata senza rispetto, derisa e conversare con un medico che usa un linguaggio così fuori luogo e inappropriato?
Perché tutti gli operatori danno del TU agli anziani? Perché una persona di 85 anni deve stare in barella senza un letto?
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