COOPERAZIONE
La mafia passa in dogana
La Svizzera potenzia i controlli in Ticino contro le infiltrazioni

Il contrasto alla “mafia italiana” che si infiltra anche dai confini lombardi e piemontesi è una delle priorità della strategia 2020-2023 in materia di lotta alla criminalità del Dipartimento federale di giustizia e polizia (Dfgp), a Berna.
Lo afferma il governo svizzero nella sua risposta ad un’interpellanza del ticinese Fabio Regazzi (Ppd), confermando che il Ticino avrà un ruolo centrale. Lo avrà per diversi motivi, non ultimo il fatto che la stragrande maggioranza delle inchieste che hanno investito più o meno direttamente il Cantone, avevano il loro cuore in borghi del Varesotto o del Comasco.
Da Berna ribadiscono che è indispensabile una cooperazione nazionale e internazionale che rappresenta, insieme alla prevenzione e alla repressione, uno dei pilastri sanciti nella strategia in questione. Il rischio di attività mafiose è elevato soprattutto nei Cantoni di confine meridionali, in particolare in Ticino: «Il piano d’azione - sostengono - sarà pertanto incentrato sul Cantone italofono ed elaborato congiuntamente con le autorità cantonali. La cooperazione con le autorità italiane sarà intensificata sul piano strategico e operativo».
Insomma, le pattuglie miste tra Italia e Svizzera sono un importante deterrente, le ultime sono state attivate proprio nel Luinese, ma è ormai chiaro che - fatto salvo per i commando che assaltano i bancomat al confine - la criminalità “pesante” ha scelto un basso profilo. Non desidera clamori. Le inchieste che hanno collegato Varesotto, Comasco e Ticino, talune coordinate dalle Procure di Catanzaro e di Reggio Calabria - vanno infatti dal business dell’eolico al passaggio di armi, fiumi di droga, al controllo di appalti finanche in settori pubblici. Prestanome, aziende fantasma in Ticino e nei Grigioni, gruppi edili che nascono e spariscono nel giro di poco e che crescono nel loro giro d’affari a dismisura, imprese nella ristorazione con bar vuoti e incassi importanti, insomma, il Ticino è ormai esposto all’infiltrazione di criminalità organizzata come fosse un’appendice italiana.
Non è un caso che anche i cosiddetti partiti moderati, di area cristiana come appunto il Partito Popolare Democratico (Ppd), interroghino la Confederazione per sapere a che punto è il piano d’azione nazionale antimafia. Il Consiglio federale, nel rispondere a Regazzi, si dice fortemente consapevole della minaccia che le organizzazioni criminali di stampo mafioso rappresentano. I loro membri vivono in Svizzera talvolta da generazioni e commettono reati.
La presenza di lunga data, i legami familiari con la Svizzera, la vicinanza linguistica e la struttura organizzativa specifica di queste mafie permettono loro di infiltrare l’amministrazione, l’economia e la piazza finanziaria «in una misura mai constatata per nessun’altra organizzazione criminale», scrive il Governo.
Negli ultimi anni sono stati emanati 13 divieti di entrata per persone condannate all’estero per mafia. A fine anno si saprà qualcosa di più di questa strategia di difesa che coinvolgerà anche le autorità e le forze dell’ordine dei territori di frontiera lombardi. Per la Svizzera è la priorità per i prossimi tre anni: si arriva a paragonare questi fenomeni al terrorismo.
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