IN TRIBUNALE
Tangenti a Induno? Processo da rifare
Il Tribunale rimanda gli atti in Procura: «Indeterminato il capo di imputazione». Si riparte da zero

Colpo di scena, ieri mattina, giovedì 30 maggio, al processo davanti al collegio del Tribunale per le presunte tangenti all'Ufficio manutenzioni del Comune di Induno Olona, in cambio di appalti per lavori pubblici. I tre giudici, guidati da Cesare Tacconi, hanno in sostanza cancellato il processo e rimandato gli atti alla Procura della Repubblica per «l’indeterminatezza» del capo d’imputazione, così come avevano chiesto i difensori dei quattro imputati, gli avvocati Patrizia Esposito, Nicola Giannantoni, Pasquale Schiariti e Cristian Mongodi.
E quindi il procedimento è tornato in una fase precedente a quella dell’udienza preliminare: la Procura dovrà “mettere a posto” il capo d’imputazione e procedere a una nuova chiusura indagini e ad una nuova richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente udienza davanti al gup.
Ma cosa vuol dire che il capo d’imputazione è «indeterminato»? Vuol dire che non è chiaro cosa si contesta a chi, in particolare per quanto riguarda le ipotesi di corruzione, perché non vi sarebbe appunto chiarezza sugli importi e le fatture nel mirino della Guardia di Finanza, che eseguì le indagini che nel 2019 portarono a tre arresti.
Il processo era iniziato lo scorso 21 febbraio e vedeva alla sbarra il presunto corrotto Walter Bardelli, funzionario dell’Ufficio manutenzioni difeso dall’avvocato Esposito, una presunta corruttrice, l’imprenditrice novantenne Silvana Moretti, difesa dall’avvocato Giannantoni (i due nel 2019 furono arrestati) e altri due imprenditori, anche loro presunti corruttori, che hanno però posizioni minori, Marco Aletti e Giovanni Curcio.
Quel giorno tutti i difensori avevano chiesto la nullità del capo d’imputazione (e non era nemmeno la prima volta) e sia il pm sia il legale di parte civile, in rappresentanza del Comune di Induno Olona, si erano opposti. Ieri, quindi, la decisione che dà clamorosamente ragione alle difese.
L’udienza preliminare si era conclusa addirittura due anni fa. E nell’aula del gup c’erano stati quattro patteggiamenti “ratificati” dal giudice, appunto quattro rinvii a giudizio e due assoluzioni.
Per quanto riguarda il terzo “big” dell’inchiesta non c’era stata in quell’occasione nessuna sorpresa, e l’agente di commercio Davide Bergamasco, indicato come corruttore dalla Procura e finito in carcere anche lui nel novembre 2019 (gli imprenditori avrebbero pagato le tangenti attraverso fatture false emesse dalla ditta per cui lavorava), aveva patteggiato una pena pari a due anni di reclusione (sospesa), ma con risarcimento di 100mila euro al Comune (rappresentato in giudizio dall’avvocato Marco Lacchin) e con due anni di lavori di pubblica utilità.
Altri tre imputati indicati come corruttori avevano patteggiato con applicazione di pene variabili dall’anno e otto mesi all’anno e nove mesi di reclusione. E infine c’erano stati i due riti abbreviati, con due assoluzioni.
Da evidenziare che l’avvocato Esposito aveva chiesto già allora al giudice che gli atti tornassero al pm a causa dell’«indeterminatezza» del capo d’imputazione, che a parere del difensore non sarebbe stato sufficientemente preciso nel delineare contratti contestati e tempi e luoghi delle dazioni di denaro e altre utilità (come buoni viaggio e prodotti hi-tech). Ma il gup non aveva preso in considerazione la richiesta accolta ieri mattina dal Tribunale.
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