IL CASO GIUDIZIARIO
Tutta la verità di Raffaele Sollecito
«Il diritto in Italia è affidato alla Dea bendata». Sulla Prealpina in edicola oggi l’intervista completa al giovane, ora uomo, condannato e poi assolto per l’omicidio Kercher

«In Italia il diritto non è affidato alla Dea della Giustizia ma alla Dea Bendata». Parola di Raffaele Sollecito che è stato in carcere 4 anni per l’omicidio di Meredith Kercher prima di essere assolto definitivamente.
«Mi chiedo in che Paese viviamo. Il delitto di Meredith è stato gestito male fin dall’inizio anche da un punto di vista mediatico. Emersero descrizioni assurde di me, venni dipinto come un mostro, fecero profili criminali con cui venni bollato sulla stampa internazionale».
Sollecito a tutto campo. Come mai si aperto prima nell’intervista pubblicata sulla Prealpina in edicola oggi, martedì 21 novembre, curata da Sarah Crespi.
Ingegner Sollecito, da sedici anni vive in una sorta di teatro dell’assurdo.
«Ho passato momenti inspiegabili, immaginatevi voi di finire implicato in un omicidio da perfetto innocente per colpa di ricostruzioni fantasiose di magistrati affezionati alla loro tesi accusatoria. E come se non bastasse continuano a prendermi a calci, negandomi ogni diritto. Mi chiedo semplicemente perché. Ora aspetto il pronunciamento della Corte europea. A prescindere dall’esito però faccio una riflessione: è possibile che un cittadino italiano debba rivolgersi a un’entità terza per essere tutelato? Perché lo Stato italiano non dà garanzie? All’inizio dell’indagine io mi fidai della magistratura, nelle primissime fasi non chiesi neppure l’assistenza dell’avvocato proprio perché sapevo di non aver fatto nulla e invece gli inquirenti fecero di tutto per incastrare me e Amanda».
L’iter giudiziario è stato particolarmente travagliato. Per l’omicidio della studentessa inglese, accoltellata nella casa di Perugia che condivideva con altre compagne di università, c’è un solo responsabile, Rudy Guede condannato in concorso ma non si sa con chi.
«C’è stata una sequela di ricostruzioni inverosimili, di volta in volta modificate da magistrati che non hanno mai offerto riscontri reali. Di provvedimento in provvedimento hanno cambiato copione e scenari continuamente lasciando però sempre gli stessi attori. Eravamo quattro persone prive di legami tra loro, gli inquirenti hanno fatto di tutto per collocarci in un medesimo contesto. E solo dopo un percorso allucinante la mia innocenza è stata riconosciuta. Eppure...».
Eppure lo Stato non le chiede scusa.
«Mi chiedo in che Paese viviamo. Il delitto di Meredith è stato gestito male fin dall’inizio anche da un punto di vista mediatico. Emersero descrizioni assurde di me, venni dipinto come un mostro, fecero profili criminali con cui venni bollato sulla stampa internazionale. Tutte falsità e chi mi conosce lo sa. E chi non mi conosce? Non è facile togliersi una taccia così infamante. Ma con chi dovrei prendermela? Con i giornalisti? E che colpe hanno loro? I giornalisti non se le inventavano le cose, qualcuno gliele diceva ed era la procura a veicolare quelle informazioni. Devo prendermela con i lettori? Loro si formano le opinioni sulla base delle notizie che vengono dalle cosiddette fonte ufficiali».
Il pubblico ministero Giuliano Mignini, che coordinò le indagini, oggi è in pensione: ha incontrato Amanda Knox e ora hanno un buon rapporto.
«Ho letto. Esprime pareri positivi su Amanda, la vede cambiata. Non entro nel merito delle scelte altrui, certo è che fu lui a tirare in ballo, tra i moventi fantasiosi, addirittura i riti satanici. Ha giocato con la vita delle persone, senza neppure avere riguardo della memoria di Meredith, la vittima che è quasi passata in secondo piano».
Cosa accadde, secondo lei, il primo novembre 2007?
«Accadde quello che è emerso durante l’istruttoria grazie ai giudici di appello che vollero andare a fondo delle cosiddette prove. Guede sapeva che in quei giorni gli inquilini raccoglievano i soldi per l’affitto e probabilmente si introdusse in casa per prenderli. Arrivò Meredith inaspettatamente e lui la aggredì. Seguendo il processo lo si capisce chiaramente. Purtroppo la tragica realtà è molto più semplice e banale delle allucinanti ricostruzioni degli inquirenti. Se io e Amanda fossimo stati davvero colpevoli non ci saremmo comportati da ragazzini innamorati, avremmo avuto un basso profilo, avremmo badato a ogni dettaglio per non tirarci addosso i sospetti. È stato commesso un gigantesco errore ma nessuno vuole riconoscermi il danno che ho subito. Per fortuna sono riuscito a portare avanti la mia esistenza concentrandomi sul lavoro, che mi dà molte soddisfazioni. Ma le barriere che ho dovuto superare e che spesso ancora mi ostacolano nessuno può immaginarle».
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