RIPARTENZA
Un bar su cinque non riapre più
Tsunami in provincia: altri cinque su dieci non sanno se rialzeranno mai la serranda

«Purtroppo per molti titolari di bar e locali è meno costoso restare chiusi, piuttosto che riaprire e peggiorare la propria situazione economica».
Giordano Ferrarese, presidente provinciale e consigliere nazionale di Fipe Confcommercio, ha ben chiara la situazione varesina sul fronte della ristorazione e dei locali di intrattenimento. E le luci, dentro il tunnel del gravissimo contagio economico portato dal Covid, sono veramente poche. Sì, perchè il venti per cento degli imprenditori del settore ha già deciso di non riaprire. Ma non semplicemente lunedì 18 maggio: non riaprirà più. Serrande abbassate per sempre, perchè partire con un «rosso» da recuperare è uno svantaggio per alcuni troppo pesante.
«A pagare il prezzo più alto sono i bar - spiega Ferrarese - magari di dimensioni non eccessive, che non possono fisicamente garantire tavolini a distanza di 4 metri, ma nemmeno di due metri. E in questi mesi, magari, hanno messo sulla scrivania le scadenze dell’affitto o delle bollette. Ma se ripartono riparte tutto. E se indietro ci sono magari già seimila euro di affitti da saldare come si fa con le casse vuote? Preferiscono rinunciare».
Certo è una rinuncia pesante, che va poi a ripercuotersi su tutta l’economia provinciale: dalla catena dei fornitori a quella dei consumi che sembrano davvero destinati a non ripartire mai.
E, come se non bastasse, accanto a chi rinuncia in partenza, c’è un altro 50 per cento di imprenditori che, per il momento, sta a guardare. Deciderà, forse, verso giugno del futuro della propria attività. Prima vuole essere sicuro delle norme, vuole capire come si comporteranno le persone, se ci sarà ancora la voglia di uscire e di ritrovarsi al bar e - cosa non da poco - se gli incassi ridotti a causa del minor numero di posti a sedere, saranno sufficienti a reggere il sacrificio e l’impresa. «Anche questo cinquanta per cento mi preoccupa - continua Ferrarrese - perchè purtroppo credo che anche una parte di questo gruppo deciderà di cambiare mestiere». Va detto che il protocollo messo nero su bianco da Inail, se non verrà semplificato dalla regione, di sicuro non aiuta la ripresa delle attività. I quattro metri di separazione tra un tavolo e l’altro, in molto locali della provincia, sono impossibili. A conti fatti, insomma, da lunedì riaprono quei bar e ristoranti che già in questi giorni hanno fatto una fase di rodaggio con l’asporto e il delivery «che li hanno rimessi in pista - dice Ferrarese - ma vivono tutti ancora nell’incertezza più totale».
Insomma, la nuova settimana che si apre ha ben poco di quella che dovrebbe essere la nuova normalità. I punti interrogativi sono ancora tanti, forse troppi, e il decreto Rilancio approvato l’altra sera non sembra portare grandi boccate di ossigeno. «Ci aspettavamo tutti misure specifiche - commenta ancora Ferrarese - e non soldi messi sul piatto senza criteri. E poi mancano quelle decisioni operative da cui poi dipende, però, la vita di una attività. Faccio un solo esempio, In nessun decreto di quelli approvati fino ad ora, si fa riferimento, ad esempio, agli studi di settore, che sono ancora in vigore secondo il pre lockdown». Il che significa che un’azienda che apre lunedì dovrà poi pagare le tasse come se fosse a pieno regime. L’ennesima beffa.
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