RALLY
Un varesino alla Dakar: la sfida di Missoni
Ottavio junior in gara alla più affascinante e massacrante competizione motoristica

Un varesino torna alla Dakar, il rally marathon più affascinante e massacrante tra gli sport motoristici. È Ottavio Missoni junior, nipote che porta il nome del creatore della griffe di Sumirago. È nato nel 1984 il pilota del rinato team Lucky Explorer di Schiranna, l’anno in cui il primo varesino disputò la gara sul tracciato originale da Parigi alla capitale del Senegal: ad aprire la strada ai nostri piloti fu il gallaratese Renato Zocchi, in sella alla Yamaha 600 Teneré.
Abbiamo trascorso un pomeriggio con Ottavio, osservandolo nel suo ruolo di responsabile della sostenibilità nell’azienda di famiglia e poi impegnato nel duro allenamento in palestra. Obiettivo è divertirsi e calcare le piste desertiche saudite da protagonista tra i piloti privati esordienti, per consegnare alla storia l’inizio di un’avventura tra le più affascinanti di sempre.
«Alzi la mano chi non sogna di vivere la Dakar con un volante o un manubrio tra le mani - esordisce così il figlio di Vittorio, scomparso nelle acque venezuelane di Los Roques il 4 gennaio 2013, che ha instillato in Ottavio jr. l’amore per i motori - Nella mia vita sportiva ho praticato la pallacanestro e il motociclismo contagiato da papà. E sin dalle prime gare di motorally, nel 2014, ho sempre vissuto un sentimento contrastante: quando ho giocato a basket, dagli 11 ai 33 anni, dal Bosto alla Pallacanestro Varese poi a Castronno e Daverio, ho sempre temuto di cadere dalla moto e rovinare la stagione con la palla a spicchi. Dopo aver chiuso con il basket, ho potuto liberare la mia passione».
«La prima sfida - racconta - saggiando sabbie e pietraie desertiche l’ho affrontata quattro anni fa con Enrica, la mia compagna: da Varese ad Ulan Bator in Panda, 16mila km in trenta giorni tra tenda e assistenza degli amici guidati da Filippo Talini, dakariano della prima ora. Quella spedizione in Mongolia, prima della nascita di nostro figlio Vittorio, mi ha aperto a nuovi scenari e sfide dove conta la programmazione, la tecnica di guida nel deserto, dosando ritmo e velocità in giusta misura».
All’inizio anni Novanta Cagiva vince l’antica Dakar africana, dieci anni dopo Beppe Macchion vince il prologo in moto aiutato da papà Vittorio Missoni. Ora la restituzione di quel gesto d’affetto tra varesini.
«È proprio così: papà creò intorno ai suoi impegni sportivi in motonautica e poi in moto un gruppo di amici del territorio che dopo la sua scomparsa ha continuato a sostenermi. Quando sei mesi fa si è ipotizzata la Dakar 2023 i primi a donarmi aiuti sono stati amici di famiglia. Beppe Macchion mi ha offerto la sua Honda 450 CRF enduro che i tecnici RS Moto hanno allestito per i raid con strumentazioni per la navigazione usate alla Dakar in Sudamerica dal gallaratese Diocleziano Toia. E quando Alberto Debernardi, Filippo Bassoli e i vertici MV Agusta mi hanno proposto di rappresentare il Lucky Explorer Gentlemen team ho accettato con gioia. Con noi opererà un altro varesino, il fotoreporter Gigi Soldano, che dagli anni ‘80 conosce la Dakar. Tra l’altro, intrecciando sport con il mio lavoro in azienda, io e Cesare Zacchetti sperimenteremo in gara dei nuovi tessuti resistenti all’abrasione, inserti elastici perché l’airbag possa espandersi senza danneggiare il pilota, aperture di ventilazione e maniche staccabili in condizioni di gran caldo».
Come è nata la sua ammissione alla Dakar?
«Dopo tre anni di motorally amatoriale, nel 2016 partecipai alla Gibaltar race e nelnel 2017 venni ammesso alla Dakar 2018 piazzandomi bene al rally Merzouga in Marocco in sella alla Sherco 450. Dopo poche settimane mi feci male al ginocchio giocando a pallacanestro e rinunciai al rally raid in Sudamerica. Poi la pausa Covid e la nascita di Vittorio che oggi ha 18 mesi ha differito il sogno. Quest’anno la presentazione della Dakar alla Schiranna mi ha riproposto il progetto e per essere ammesso ho partecipato due mesi fa in Andalusia alla gara mondiale di cross country, giungendo all’esordio 12º su 50 piloti moto all’arrivo».
Come ci si prepara per le quindici massacranti tappe tra pietraie e deserti solcando in moto l’Arabia Saudita?
«L’impegno agonistico fa parte del mio Dna, così ho varato un programma mirato d’allenamento e alimentazione. Oltre a sfiancanti test di durata in sella a Honda 450 versione muletto sulle piste del Ciglione di Malpensa ho puntato molto sul lavoro in palestra con Mattia Borello di Daverio, personal trainer che ho conosciuto nel basket, senza trascurare il piano dietetico con Vince.shop di Gallarate. Le tappe della Dakar vanno dai 150 km tra le lente pietraie ai 600 km sulla sabbia veloce e l’alimentazione è alla base del risultato e guida in sicurezza».
Cosa c’è nello zainetto che porta sulle spalle, in gara? Si è allenato nel cambio filo del gas e frizione?
«Non avrò uno zaino: divido il carico in due luoghi. Nel sotto sella metterò 3 litri d’acqua, due dischi frizione, filo di ferro, chiavi inglesi dell’8 e del 10, leve, falsamaglia con mollette per aggiustare la catena. Nella tasca interna della tuta porto il nastro, le fascette, la pasta bicomponente. Mi sono allenato alle riparazioni leggere – conclude Ottavio Missoni con un sorriso beneaugurale - nella speranza non servano mai. Obiettivo condiviso tra 130 motociclisti è giungere all’arrivo, a Dammam, e tuffarsi tutti insieme nel Golfo Persico.
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