LA STORIA
Una ex BR da 106mila euro l’anno
Fu fidanzata di Alasia e condannata per banda armata: Ivana Cucco è oggi la numero uno dello Spresal di Novara

Lo scorso 8 luglio la Procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo contro ignoti per attività terroristica.
Un’intercapedine del Padiglione Granelli del Policlinico di Milano, aveva da poche ore restituito materiale legato all’attività delle Brigate Rosse. Inclusa la tessera da parlamentare del democristiano Massimo De Carolis, a metà degli Anni Settanta responsabile di Democrazia Nuova, sequestrato e gambizzato dai brigatisti della Colonna Walter Alasia il 15 maggio 1975.
Poco più d’un mese fa, invece, Ivana Cucco, ex fidanzata del brigatista rosso Walter Luca Alasia, ha vinto l’ennesimo pubblico concorso, sbaragliando quattro concorrenti, medici come lei, e ora dirige il Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell’Asl di Novara: un ufficiale di polizia giudiziaria a capo di altri ufficiali di polizia giudiziaria.
Brigatista rossa col soprannome di Rita proprio nella Colonna Alasia, Ivana Cucco è stata arrestata due volte: la prima il 15 dicembre 1976, giorno in cui il suo fidanzato venne ucciso dopo aver a sua volta ammazzato Sergio Bazzega e Vittorio Padovani, i due poliziotti che avrebbero dovuto arrestarlo; la seconda il 26 febbraio 1982, dopo che Antonio Savasta, Maurizio Peci, Daniele Bonato e altri terroristi avevano fatto il nome di Rita, legandola all’organizzazione della Colonna Walter Alasia e alla seconda “visita” - a scopo di rapina - delle BR al circolo culturale di Democrazia Nuova, l’1 dicembre 1976.
Dopo il suo primo arresto, Ivana Cucco fu scarcerata: il suo legame sentimentale con Walter-Luca, benché saldo nei sentimenti e negli ideali rivoluzionari, non risultò sovrapponibile, prove alla mano, a un’eventuale attività eversiva dell’allora ventitreenne infermiera in servizio all’ospedale San Carlo di Milano.
La seconda volta, Ivana Cucco, in quanto Rita, fu invece condannata a quattro anni e sei mesi di reclusione per rapina e banda armata (l’allora pm Emilio Alessandrini, poi assassinato da Prima Linea, aveva richiesto per lei dodici anni di carcere), insieme con Renata e Maria Grazia Chiari, Nicola Eleonori e Giuseppe Muscianisi. Era il 24 marzo 1983.
La sentenza fu confermata in Cassazione dal giudice Corrado Carnevale il 4 novembre 1986, Ivana Cucco aveva da poco finito di scontare la propria detenzione. Conseguendo una laurea in Medicina, l’iscrizione all’Ordine dei Medici e l’accesso ai primi incarichi professionali (con quale certificato penale non è dato sapere) e il diritto a chiedere la riabilitazione per buona condotta. Cioè l’estinzione degli effetti penali della condanna e delle pene accessorie - tra i quali l’interdizione dai pubblici uffici - che si può ottenere dopo minimo tre anni dall’esecuzione della pena.
Una riabilitazione giunta a tempo di record: l’allora Usl 58 di Galliate - come conferma Adriano Giacoletto, attuale direttore generale dell’Asl novarese -, dopo un concorso per due posti, assunse la dottoressa Cucco l’11 maggio 1989 ma attese il 30 settembre successivo per conferirle l’incarico di assistente medico.
Considerando i tempi della scarcerazione, del bando concorsuale e dell’esame, qualcosa non quadra ma lo stesso Giacoletto garantisce che la procedura di assunzione fu rispettata e che, quanto al concorso appena vinto dalla Cucco, la documentazione da lei prodotta «è tale da non contenere elementi ostativi alla costituzione del rapporto di lavoro».
Nel frattempo, alla Regione Piemonte e all’Associazione vittime del terrorismo sono giunti, in tempi neppure recenti, altrettanti esposti anonimi caduti nel dimenticatoio.
Del resto, dagli Anni di Piombo a oggi, Ivana Cucco, ha fatto in modo che Rita restasse sepolta nell’oblio e ha scelto il silenzio per commentare quella parte dolorosa dell’esistenza sua e dei suoi compagni, oltreché tragica per le decine di vittime della Walter Alasia.
Tra queste spiccano il medico Luigi Marangoni, assassinato nel 1981, Renato Briano, capo del personale della Ercole Marelli Spa ammazzato nel 1980, ma anche Michele Tatulli, Antonio Cestari e Rocco Santoro, poliziotti trucidati, sempre nel 1980, per dare il benvenuto al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa come responsabile dell’antiterrorismo.
Rita, in quei giorni di mattanza rivoluzionaria, forse non immaginava che sarebbe diventata dirigente medico, come Marangoni, né ufficiale di polizia giudiziaria, come Santoro, né tanto meno che si sarebbe occupata di sicurezza sul posto di lavoro, come Briano, finendo col guadagnare un affatto proletario stipendio di 106.269 loro annuo, premi esclusi.
Ivana invece c’è riuscita e in questi anni ha condotto indagini importanti, sotto la guida del suo mentore, lo scomparso Biagio Calò, come alla Bemberg di Gozzano, laddove però i guai dell’amianto sulla pelle dei lavoratori emersero solo alla chiusura dell’azienda.
A chi oggi le chiede lumi sul suo passato e sul suo cursus di medico, Ivana ritorna Rita e replica dura: «Non commento».
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