IL BILANCIO
È stato l’inverno del favonio
Tanto sole, vento caldo e pochissime piogge: primavera con il problema siccità

La pioggia leggera di questi giorni non ha certo risolto il problema della siccità: per quanto riguarda il capoluogo (ma il quadro è analogo nel resto della provincia), all’appello della stagione meteorologica invernale (che, a differenza di quella solare, va dal primo dicembre al 28 febbraio) mancano infatti circa 183 millimetri di pioggia, risultato della differenza tra i 245 millimetri attesi dalla statistica dell’ultimo mezzo secolo e i 58,6 caduti nei tre mesi presi in considerazione.
Il dato, fornito come sempre dal Centro Geofisico Prealpino e in particolare da Paolo Valisa, la dice lunga sulla carenza idrica che sta vivendo il Varesotto e che, se la tendenza non verrà modificata in modo rapido e consistente, getta lunghe ombre sulla nuova stagione ormai alle porte e la sua ripresa dal punto di vista della vegetazione. Senza considerare che gran parte di quell’acqua è arrivata in città sotto forma di neve concentrata nei primi due giorni di febbraio, in quanto dicembre ha fatto segnare solo 9,4 millimetri e gennaio un millimetro in più.
Il fenomeno è una costante degli ultimi anni, in particolare per quanto concerne il mese di dicembre: nel 2012 si ebbero 4 millimetri e mezzo di pioggia, nel 2016 un misero 1,2. Eppure, l’inverno 2018-19 non è stato nemmeno il più secco in assoluto: il record spetta infatti ai 7,6 millimetri della stagione 1980-81 che pure apparteneva ancora al tempo in cui le nevicate erano abbondanti.
A questo proposito ricordiamo che a Varese città l’inizio di febbraio ha registrato 15,5 millimetri di manto nevoso, di cui 2 -caduti il 19 dicembre- sembravano annunciare un inverno finalmente “bianco” che poi invece non c’è stato. Meglio è andata in cima al Campo dei Fiori con 47 centimetri, ma ne mancano 241 per toccare la media del periodo. Ciò corrisponde naturalmente a una stagione mite per non dire calda (quarto posto fra gli inverni calcolati dal 1967-68 in qua): 5,1 gradi centigradi l’attesa, 6,5 la realtà. Mediamente le temperature invernali sono cresciute di un grado, ma le massime del doppio grazie in particolare al favonio che s’è fatto sentire in maniera pesante nei primi quindici giorni dell’anno nuovo: 164 ore totali, cioè 33 più del record precedente. La colonnina di mercurio s’è impennata il 30 dicembre a 16,1 gradi e il 22 febbraio con 21,7 gradi, in un mese che è stato particolarmente soleggiato con 21 giornate serene che battono il record precedente di 20 per il quale bisogna andare indietro addirittura al 1970. Colpa - è il caso di dirlo proprio perché si era nel pieno della stagione fredda - dell’anticiclone africano accompagnato anche da vento secco settentrionale - appunto il favonio - causa (o concausa) di tanti incendi boschivi.
Negli annali del Centro Geofisico si ricorderà in particolare il 2 dicembre, quando Eolo ha soffiato fino a 91 chilometri orari al Campo dei Fiori, a 74 a Bodio Lomnago, a 55 a Malpensa e Milano, a 52 a Varese. Sottobosco privo di umidità e assenza di neve hanno favorito il fuoco, in particolare quello che fino al giorno 7 ha impegnato centinaia di uomini sulla Martica. E pensare che a dicembre il vento aveva fatto anche di peggio. Con 120 chilometri orari a Punta Paradiso, 85 a Bodio, 76 a Ranco, 73 a Tradate, 62 a Varese e 59 a Malpensa ha causato un po’ ovunque ingenti danni: via il tetto della scuola di Leggiuno, grossi alberi abbattuti a Casbeno e Azzio, piegata la croce del campanile della chiesa di San Giulio a Castellanza.
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