COLPO DI SCENA
Abate, cadono le accuse
La Procura di Brescia chiede l’archiviazione per il caso Quiete

Succede raramente che a un “avviso della conclusione delle indagini preliminari” non segua da parte della Procura una richiesta al gup di rinvio a giudizio dell’indagato.
Per questo non è banale parlare di “colpo di scena” rispetto a quanto accaduto davanti al giudice delle indagini preliminari di Brescia.
Nel corso di un’udienza del “caso Quiete” in cui si discuteva dell’opposizione dell’imprenditore varesino Sandro Polita alla richiesta di archiviazione della Procura per quanto riguarda undici soggetti da lui denunciati (tra i quali diversi magistrati varesini: di qui la competenza bresciana), il pm di quel Tribunale Mauro Leo Tenaglia ha comunicato di aver “cambiato idea” per quanto riguarda il dodicesimo uomo della vicenda e di voler chiedere l’archiviazione anche per lui.
Un colpo di scena, appunto, perché il dodicesimo uomo è il magistrato Agostino Abate, ex sostituto procuratore a Varese e ormai storico “avversario” del gruppo Polita, trasferito a Como dal Csm per altre vicende nel 2015 e oggi giudice civile.
Un collega nei confronti del quale il pm Tenaglia, a inizio anno, aveva chiuso un’inchiesta monstre (sei anni di durata, undici faldoni, diecimila pagine di atti) in modo diametralmente opposto rispetto agli altri undici indagati - undici posizioni da archiviare, secondo la pubblica accusa - e cioè con la contestazione di accuse di abuso d’ufficio e favoreggiamento personale.
Evidentemente Abate, che ha sempre definite «calunniose» le accuse mosse contro di lui dai Polita, dev’essere stato molto convincente nello spiegare lo scorso marzo le sue ragioni alla Procura di Brescia, nel corso dell’interrogatorio previsto dal Codice dopo l’avviso di conclusione delle indagini. Interrogatorio al quale sono seguiti ulteriori accertamenti.
E ora che cosa succederà? Per quanto riguarda gli undici - un gruppo composto non solo da due giudici fallimentari e un altro pm che oggi non sono più in servizio a Varese, ma anche da un finanziere, dai curatori dei vari fallimenti della Quiete targata Polita e dai precedenti proprietari della clinica - sull’archiviazione il gip si è riservato e dovrebbe decidere nei prossimi giorni. Mentre per quanto riguarda Abate, Tenaglia presenterà un’ulteriore richiesta di archiviazione di fronte alla quale Polita potrà naturalmente fare di nuovo opposizione.
A questo punto si può dire però che secondo la Procura di Brescia la teoria del “grande complotto” non ha alcun fondamento e all’inizio del decennio non ci fu alcun accordo, tra soggetti diversi, per favorire i precedenti proprietari della Quiete, prima, e per “portare via” la clinica ai Polita, poi, facendo fallire le varie società che gestivano la struttura sanitaria e anche la capogruppo dei nuovi proprietari, la Ansafin.
A inizio anno, invece, sei anni dopo i primi esposti dei Polita alla Procura di Brescia, e dopo diverse archiviazioni chieste e ottenute da quegli stessi pm, la magistratura inquirente aveva ipotizzato di procedere contro il solo Abate.
L’avviso, firmato dal procuratore aggiunto Sandro Raimondi e dal sostituto Tenaglia, aveva messo insieme un primo capo d’imputazione per abuso d’ufficio, precisato con la descrizione di sette diverse “condotte”, e un secondo in cui si contestava invece all’ex pm il favoreggiamento personale.
Nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della clinica La Quiete e sul passaggio della struttura sanitaria dai fratelli Riva ai fratelli Polita, l’allora pm di Varese era accusato di aver trattato le due famiglie in modo diverso, evitando ai Riva il coinvolgimento in procedimenti penali e andando all’attacco dei soli Polita.
Si era trattato di una libera scelta del magistrato basata sull’analisi dei fatti? No, aveva sostenuto allora la Procura di Brescia, secondo la quale Abate avrebbe agito «intenzionalmente» per provocare ai Riva «un ingiusto vantaggio patrimoniale» e per arrecare «un danno ingiusto» all’Agenzia delle Entrate, all’Inps e all’Erario, «per il mancato incameramento delle sanzioni penali pecuniarie e della confisca del profitto del reato».
Ora, però, secondo gli stessi pm bresciani, in quello che accadde all’epoca non ci sarebbe stato nulla di penalmente rilevante.
A marzo l’ex sostituto
di Varese si era fatto interrogare. Caso chiuso anche per altre undici posizioni, ma si attende la decisione del gip
© Riproduzione Riservata