IL CASO
Badante e usuraia
Donna ucraina a processo per aver prestato denaro con interessi elevatissimi a una connazionale

Aveva concesso un prestito di cinquemila euro a una sua connazionale, ucraina e badante come lei, dalla quale però avrebbe preteso - ricorrendo anche alle minacce - la restituzione di oltre ottomila euro. Con un tasso di interesse, quindi, del cinque per cento mensile, il sessanta per cento annuo. Tasso considerato usurario, tanto che la Guardia di Finanza nel marzo di tre anni fa arrestò una 43enne, che secondo gli inquirenti aveva abbinato all’attività di assistenza agli anziani quella di “società finanziaria” illecita.
Usura e tentata estorsione: sono queste le accuse che la Procura della Repubblica di Varese muove alla donna, che nel frattempo è tornata nel suo Paese natale.
Peraltro, l’immigrata aveva trovato anche un altro modo di arrotondare: affittava agli extracomunitari alcuni posti letto nella sua casa di via Medaglie d’oro, a sei euro a notte.
Una circostanza confermata da un testimone del processo, anche lui ucraino, che viveva in quell’appartamento con la moglie: «Alcuni miei compaesani dissero che avremmo potuto dormire lì».
Nell’aula del Tribunale, la vittima (costituitasi parte civile con l’avvocato Chiara Di Giovanni) ha raccontato di aver chiesto il prestito alla sua collega perché aveva bisogno urgente di soldi: «Mi servivano per pagare le medicine a mia madre in Ucraina».
Denaro prestato, in tre tranche, sulla base di altrettanti contratti, scritti non in italiano ma nella lingua dell’ex repubblica sovietica, che stabilivano tempi e modi della restituzione. Contratti che, secondo il difensore dell’imputata (l’avvocato Vittorio Crosta), furono stipulati rispettando le norme del diritto ucraino.
Tesi confermata da un “parere pro veritate” chiesto dallo stesso legale a un avvocato ucraino (che non è però ancora stato acquisito agli atti del processo).
Nella prossima udienza, il 2 febbraio 2021, il collegio (presidente Orazio Muscato, a latere Rossana Basile e Alessandra Mannino) nominerà il perito incaricato di tradurre i contratti incriminati.
Documenti datati 2015, quando, tra febbraio e giugno, l’imputata avrebbe consegnato complessivamente quattromila euro (meno della somma pattuita), in tre distinte occasioni. Soldi che però la vittima - le cui difficoltà economiche con il passare del tempo si aggravavano - non riusciva a restituire, tanto meno con gli interessi.
Avendo ottenuto solo cinquecento euro, la presunta usuraia cominciò a fare pressioni sempre più forti: «Mi telefonava e mi mandava sms con insulti e minacce. Sei una p..., dammi i soldi o ti porto via la casa».
Azioni intimidatorie che sarebbero state compiute anche da un uomo, mai identificato. E alla fine, due anni più tardi, la debitrice decise di chiedere aiuto alla Guardia di Finanza del comando provinciale, che fece scattare le manette ai polsi della donna.
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