MADE IN VARESE
«Riscoprire il nostro vino»
Partito da zero, in una dozzina di anni, il “nettare” nostrano è approdato a 80mila bottiglie. La produzione resta limitata ma ogni goccia viene venduta

Fino a qualche anno fa il vino di Varese poteva essere “gustato” solo sulle pagine di un libro. Soltanto alcuni volumi, infatti, testimoniavano di come, una volta, il Varesotto fosse terra di viti e vigneti.
Poi, fra urbanizzazione, industrializzazione e la mancanza di chi continuasse la tradizione, le botti si prosciugarono. E, praticamente, la produzione venne azzerata. Il deserto. Fino a una dozzina d’anni fa, quando tornò a ricrearsi un’oasi che, piano piano, si è allargata. E, da zero, oggi si è saliti a 60-80.000 bottiglie l’anno prodotte grazie a circa 10 ettari di vigneti per un fatturato che si aggira fra i 600 e gli 800.000 euro l’anno.
Certo, si tratta di una goccia nell’oceano dei marchi di livello mondiale del settore vinicolo italiano, ma, seppure come prodotto di nicchia, il vino prealpino si sta ritagliando il suo spazio. Un esempio: di quanto spremuto, non si avanza una goccia. Si vende tutto. Cresce la quantità e, con gli anni, anche la qualità. Si tratta di Merlot, Nebbiolo, Barbera, Shiraz, Traminer e Chardonnay e altri vitigni coltivati dalle aziende aderenti all’associazione Viticoltori varesini: Tenuta Tovaglieri di Golasecca, Vitivinicola Laghi d’Insubria di Albizzate, Cascina Filip di Travedona, Cascina Ronchetto di Morazzone e Rossi di Angera, Cascina Piano di Angera, Valle Luna di Varese, che hanno ottenuto anche la certificazione di Igt dei Ronchi varesini. A Varese vince il rosso, ma ci sono anche bianchi e qualcuno si è recentemente lanciato sulle bollicine.
«L’80% per cento della vendita - dice Giuliana Maria Tovaglieri, presidente dell’Assovini provinciale - arriva dal consumo diretto in azienda, mentre il restante viene acquistato dagli utenti degli agriturismi e una piccola percentuale va ai ristoranti e ai negozi. I produttori puri, invece, si affidano ai rivenditori riuscendo a distribuire il prodotto anche in giro per l’Italia, oppure utilizzano il sistema dei mercatini. Per ora all’estero non siamo ancora arrivati, a parte per il passaparola dei turisti che vengono a villeggiare qui».
Prossimi obiettivi? Qualcuno ha ventilato l’ottenimento della Doc: «Per quanto mi riguarda - aggiunge Tovaglieri - non capisco quale utilità possa avere questo marchio. Ritengo, invece che bisogna investire nella comunicazione, a partire dai social (oggi la pagina Facebook dei Vini varesini ha appena 173 mi piace, ndr) perché la nostra realtà è molto nascosta, anche alle persone del territorio. Dobbiamo invece farci conoscere per far acquistare valore al prodotto. Per esempio la rassegna organizzata a Induno Olona con Slow food è andata bene, ma è anche l’unica durante l’anno che ci vede uniti. Bisogna invece essere più propositivi, compatti, ragionando maggiormente come gruppo e non come singola azienda».
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