L’OPERA
Bregazzana, l’Elefante aspetta il pubblico

Cosa ci fa un elefante gigante nel cimitero di Bregazzana? Lo si potrà scoprire domani quando, in concomitanza col mercatino di hobbistica e artigianato a chilometro zero, organizzato dagli Amici di Bregazzana, ci sarà l’apertura straordinaria dell’Elefante di Bregazzana, la cui storia sarà spiegata da Renata Castelli, curatrice dei Musei civici viggiutesi, che sarà presente dalle 10 alle 16.
L’elefante di Bregazzana è stato realizzato dallo scultore e pittore Enrico Butti attorno al 1919, sotto commissione della Famiglia Magnani, eredi di Angelo Poretti, “papà” dell’omonimo birrificio che si trova a due passi dalla frazione varesina. Pensata e costruita per essere collocata nel giardino di Villa Magnani, la scultura raffigura un elefante in bronzo, simbolo di prosperità, che sorregge una pagoda indiana. Successivamente venne spostata nel cimitero di Bregazzana, dove si trova ancora oggi, per diventare il Mausoleo Magnani, in cui riposano i discendenti della famiglia. A seconda dell’interpretazione, l’animale può anche aver “attraversato” la pagoda, come dimostrerebbero dei frammenti di bambù che appaiono tra i fianchi dell’animale e le pareti della pagoda, come se l’animale si riappropriasse del territorio usurpato dall’uomo.
I misteri dell’elefante di Bregazzana sono conditi anche da una storia “di cortile” che, se fosse vera, rivela ancora una volta come i rapporti di vicinato siano da sempre complicati. La posizione del posteriore (sedere) dell’elefante pare sia stata voluta dalla famiglia Magnani per questioni discordanti con una persona nota del borgo e quindi, per dispetto, si fece costruire l’elefante con il fondoschiena rivolto in segno di scherno. Vero? Falso? Prima o poi, magari, si scoprirà.
Nell’area interna dell’Elefante ci sarà anche una mostra fotografica di Bruno Fasola, docente di Storia dell’arte e fotografo, dedicata a Enrico Butti. Si tratta di una serie di immagini in bianco e nero e a colori, realizzate all’interno del Museo Butti di Viggiù.
Le immagini riguardano la collezione di gessi di Enrico Butti, raccontate attraverso una selezione di fotografie interpretative, spesso molto contrastate e di particolari delle sculture, illuminate dalla luce naturale presente nel museo, che cercano di rendere l’espressività delle figure, quasi fossero ritratti di persone reali. Il gesso, come il bronzo in cui poi sono state trasformate queste sculture, è materia inerte, ma sotto la mano sapiente di Butti si trasforma in forme vive, che Fasola ha cercato di rianimare con la sua personale scelta fotografica.
Una presenza straordinaria
al cimitero:
la curatrice
dei musei civici
di Viggiù,
Renata Castelli, spiega
la sua storia
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