L’ACCUSA
Soldi, false assunzioni, permessi di soggiorno: cinque nei guai
Varese, gli stranieri pagavano 3.500 euro: cinque richieste di rinvio a giudizio per imprenditori e mediatori
Presentavano false attestazioni di lavoro, in cambio di denaro, per consentire agli immigrati clandestini, soprattutto cinesi ed egiziani, di regolarizzare la loro posizione in Italia. È questa l’accusa con cui la Procura della Repubblica di Varese ha chiesto il rinvio a giudizio di cinque persone, tra imprenditori e mediatori, imputate a vario titolo di truffa, falso ideologico e violazione del decreto legge del 2020 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Misure urgenti contro il contagio
Tutto nasce dal provvedimento varato per tutelare la salute pubblica nel pieno della pandemia scoppiata cinque anni fa. Per cercare di contenere la diffusione del contagio, il decreto permetteva di far emergere, e quindi regolarizzare, rapporti di lavoro “in nero” di cittadini stranieri che avrebbero potuto così ottenere il permesso di soggiorno ed essere quindi monitorati durante l’emergenza sanitaria. Ma, secondo la ricostruzione dell’accusa, qualcuno ne ha approfittato per spillare dei soldi agli extracomunitari che, pagando 3.500 euro, predisponevano le domande di emersione da consegnare alla Prefettura, comprese le dichiarazioni attestanti rapporti di lavoro inesistenti con datori di lavoro fittizi. Sarebbero 198 le false domande presentate nell’estate del 2020 e finite nel mirino degli inquirenti.
La denuncia di due cinesi
L’inchiesta è partita dalla denuncia di due cittadini cinesi che si erano rivolti a una loro connazionale, un’imprenditrice residente a Varese che aveva gestito le pratiche di falsa assunzione in due aziende, una di Milano, l’altra di Roma. Pratiche per le quali agli immigrati veniva chiesto il pagamento di 3.500 euro, a titolo di tasse e imposte, in realtà neppure dovute in questi casi. Da qui l’accusa di concorso in truffa di cui devono rispondere sia la donna cinese che proponeva la regolarizzazione e intascava i soldi, sia gli italiani che si occupavano di predisporre la falsa documentazione utilizzando società fittizie a loro riferibili e di inviare personalmente, oppure attraverso account di terze persone all’oscuro di tutto, le domande alla Prefettura. Le indagini hanno poi accertato che le domande di emersione presentate attraverso le attestazioni di rapporti di lavoro inesistenti erano quasi 200. L’udienza preliminare davanti al gup Marcello Buffa si è conclusa con un nulla di fatto a causa di alcune notifiche non andate a buon fine agli imputati o ai loro difensori (gli avvocati Oskar Canzoneri, Veronica Ligorio e Matteo Pelli). Tutto rinviato, quindi, alla metà di aprile 2026.
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