L’APPELLO
Insulti ai poliziotti, Limido assolto
Il giudice: il reato dei leader dei DoRa non è punibile

«Assolto perché il reato non è punibile». Ieri, giovedì 16 marzo, la seconda Corte d’Appello di Milano ha cancellato la condanna a quattro mesi per oltraggio a pubblico ufficiale emessa in primo grado dal Tribunale di Varese a carico di Alessandro Limido, leader dei Dodici Raggi, discusso gruppo con base ad Azzate che si rifà esplicitamente al periodo del ventennio fascista e nazionalsocialista.
I FATTI
Riavvolgiamo il nastro della storia e torniamo alla sera del 4 novembre del 2019, l’autunno prima che esplodesse l’emergenza pandemica. Quella sera il consiglio comunale a Varese era stato convocato per votare il conferimento della cittadinanza onoraria a Liliana Segre, la senatrice a vita milanese superstite dell’Olocausto, di cui è nota, nonostante l’età avanzata, l’incessante azione di testimonianza e di trasmissione della memoria. Per l’occasione, nell’atrio del Salone Estense, fecero capolino anche nove militanti dell’associazione Dodici Raggi. Volevano presenziare alla seduta, ma si videro sbarrato il passo dagli agenti della Digos della polizia. L’allora vicequestore vicario Leopoldo Testa disse a Limido e camerati che non era il caso. Secondo la difesa dell’imputato, gli avvocati Gabriele Bordoni e Luca Portincasa, per impedire l’accesso ai neofascisti avrebbe utilizzato modi poco urbani sostenendo che li avrebbe fatti entrare solo se scortati dalle forze dell’ordine. A quel punto, i militanti decisero di togliere il disturbo, ma prima di andarsene Limido imprecò contro gli agenti: «Tutti pezzi di m... a partire dal vicequestore. Se volete denunciatemi!». Un atto di sfida che si tradusse in una denuncia-querela, a sua volta trasfusa nella contestazione di reato di oltraggio a pubblico ufficiale.
LA SENTENZA
Contestazione alla base della condanna di primo grado, azzerata oggi al termine dell’udienza di appello. In attesa di leggere le motivazioni si può affermare senza timore di smentita che la Corte d’Appello, accogliendo la tesi difensiva, ha escluso, in base all’articolo 393 bis del codice penale, la punibilità di Limido in considerazione del fatto che l’imputato avrebbe reagito a un atto arbitrario posto in essere da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. In soldoni, la reazione di Limido, come hanno precisato ieri in aula i suoi avvocati, fu indubbiamente maleducata e sopra le righe, ma non tale da essere inquadrata come reato. Anche perché a lui e al suo gruppo fu impedito di entrare dal vicequestore di Varese in modo illegittimo e provocatorio e fu detto che, in alternativa, avrebbero potuto entrare al Salone Estense solo scortati, pur non avendo fatto nulla.
IL COMMENTO
«Ogni tanto anche nei confronti dei militanti politici come noi è riconosciuta la legittimità di reagire alle prevaricazioni delle forze dell’ordine», ha commentato a caldo il diretto interessato. «Non mi considero una vittima del sistema perché in generale rifiuto il vittimismo come concetto. Tuttavia, sono sotto processo per parecchie cose che non ho fatto. Si accaniscono contro di me senza motivo».
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