A VARESE FINO ALL’1 AGOSTO
L’alchimista dell’acqua
Dalla devastazione del fuoco alla materia liquida: Yoshin Ogata si racconta

Se in questi giorni vi capitasse di varcare la soglia della barocca Sala Veratti, a Varese, sappiate che oltre il portone del civico 20 troverete ad accogliervi una macchina del tempo.
Se infatti nel refettorio dell’ex Convento di Sant’Antonino gli affreschi riescono nell’impresa sublime di dar luce settecentesca all’ombra cupa dell’oggi ammorbato dal coronavirus, ancor più incredibile è come l’arte raffinata d’un artista dello scalpello riesca a fondersi in questo quadro, che agli inizi del Novecento, in ragione della mesata, fu persino dissacrato divenendo bottega di calzolaio.
O forse è proprio questa contaminazione del fare che sublima le Waterfall of Time, appunto Cascate di tempo - di Yoshin Ogata, che sono frutto d’intuizione e genio intrisi di sudore e fatica.
Ogata oggi ha 73 anni, ha una moglie, Yoshiko, che l’assiste con amore, e porta nelle ossa e nel respiro le ferite indelebili della lavorazione dei marmi, dei graniti e d’ogni materia solida che ha incontrato nel suo cammino.
Dallo scorso 11 luglio, grazie a Debora Ferrari e a Luca Traini, ovvero a Musea Trarari Tipi e al contributo di Banca Generali Private, sono già centinaia i varesini che si sono immersi nell’acqua raccontata da Ogata. Un’acqua salvifica.
Ci racconta la sua acqua?
«Da bambino, avrò avuto tre anni, in una notte indelebile, vidi andare a fuoco tutto ciò che la mia famiglia, dall’antenato Samurai, aveva costruito con fatica: un ristorante e la propria casa. Nel trambusto di uomini e donne che cercavano di frenare le fiamme, vidi arrivare i pompieri. Spensero loro quell’incendio con fiotti d’acqua potenti. Ho fissato nella memoria quel prodigio di salvezza. Da allora acqua, fuoco, ovvero luce, tempo e spazio sono diventate i miei riferimenti».
Anche lei è tra gli artisti che non ebbero fortuna con le Accademie d’arte.
«Troppa matematica per me. C’ero arrivato grazie a un maestro del liceo che mi aveva visto disegnare. Un talento ereditato dalla grazia di mia madre, artista dell’ikebana prestata, per necessità, al servizio della ristorazione».
Da dove le arrivò l’ispirazione per la scultura?
«Quel maestro un giorno mi mostrò le opere di Rodin. Fu un colpo di fulmine. Decisi che avrei imparato a scolpire guardando. Mi recai a Londra per disegnare le opere là custodite. Poi venni in Italia, imparai dal grande Emilio Greco, conobbi i frutti del Rinascimento ma anche la materia, i marmi di Carrara e la teoria, a Brera. Quindi scelsi gli Stai Uniti come meta per sperimentare e ancora il Messico coi Maya. Mi piace sperimentare la materia».
Graniti, marmi, travertini, bronzi: una ventina di opere esposte fino all’1 agosto.
La ricerca però va oltre la materia. È imperniata sulla forma dell’acqua: gocce sospese, che anticipano il suono raccontato dall’haiku di Matsuo Basho (Vecchio stagno/una rana si tuffa/un suono d’acqua) e ancora onde sinuose, tratti verticali, scuri, a tracciare l’inesorabile gonfiarsi dello tsunami.
Lei blocca, come in una fotografia, l’attimo in cui la goccia cade. È il dialogo alchemico e silenzioso dell’artista con la materia solida, che diventa liquida.
Ma pare anche una sfida - vinta - con il tempo.
«Il tempo è essenziale nella vita così come nella materia: lavora, sgrossa. Io cerco d’inserirmi in questo cambiamento lasciando il mio segno, prima che il tempo torni a lavorare anche su questo. Alcune mie opera hanno confini imprecisi, grezzi. Quello è il confine tra la materia che posso lavorare e quella che il tempo ha lavorato per me».
Una parafrasi della vita. Che rapporto ha con la morte?
«Umanamente ho paura di scomparire però mi attira anche l’idea di andare oltre».
L’oltre che racconta la sua acqua è ciclico: goccia, fiume, lago, mare, di nuovo cielo.
«La pietra è nell’acqua, l’acqua stessa è calcare: moderando si può cogliere la morbidezza della pietra e la durezza dell’acqua. Sono cresciuto nella cultura shintoista-buddista e la ciclicità della Natura è permanente in me come io lo sono in essa: accettare con umiltà di esserne parte è la grazia».
A proposito di grazia, che cos’è la bellezza?
«Ciò che fa sentire bene. È l’armonia».
© Riproduzione Riservata