MARTICA
Varese: «L’incendio? Non c’entro»
La difesa del ristoratore sotto accusa per il rogo del gennaio 2019: «Il flessibile era spento». E punta il dito su uno sconosciuto

«Ho usato il flessibile, l’ho messo a posto, poi ho staccato la corrente, ho riavvolto il cavo e ho ritirato tutto. Saranno state le 16-16.15. Dopo un po’ ho visto propagarsi l’incendio, dalla parte bassa del bosco a salire. Erano più o meno le 17, la mia compagna ha avvisato subito le forze dell’ordine. Ricordo però di aver visto scendere una persona, aveva un cappellino viola. Con la coda dell’occhio ho notato un lumino, era a circa 13 metri da me».
Thomas Tonini, il ristoratore accusato di aver provocato il devastante rogo del 3 gennaio 2019 alla Martica, a causa delle scintille che dalla sua smerigliatrice sarebbero finite sulle foglie secche, ha preso la parola ieri in Tribunale nel corso del processo che lo vede imputato di incendio. Un rogo per il quale ha anche ricevuto una maximulta, sei milioni e mezzo di euro, che però ha impugnato (il ricorso non è ancora stato discusso).
Il proprietario della Motta Rossa ha respinto la tesi della pubblica accusa, che si basa anche sul racconto di un suo dipendente che - ha sottolineato il pm Antonia Rombolà - riferì ai carabinieri forestali che l’imputato aveva lavorato con la sega circolare fino a cinque minuti prima che partissero le fiamme. E ha puntato il dito su un misterioso personaggio che si aggirava nel bosco intorno alla Motta Rossa proprio all’ora del rogo. Non solo: «Nei mesi successivi - ha proseguito Tonini - ho saputo che alle 18.15 sul sentiero che da lì prosegue e poi arriva fino al Brinzio è stato appiccato un altro incendio. E so che una coppia ha chiamato il 112 per avvisare». Marito e moglie saranno ascoltati nella prossima udienza, ai primi di aprile.
Così ha deciso il giudice Luciano Luccarelli, accogliendo la richiesta del difensore dell’imputato, l’avvocato Giancarlo Trabucchi. Il quale ha chiamato a testimoniare un altro consulente, il dottor Alberto Cocchi, esperto in materia di incendi per la Forensic Experts. Che è arrivato a conclusioni analoghe a quelle già illustrate dal suo collega, l’ingegner Giovanni Cocchi, nella precedente udienza. Per la Procura a far partire il rogo furono le scintille della smerigliatrice usata per tagliare delle barre di ferro nei pressi della recinzione. Per Cocchi, invece, non ci sono «evidenze che la sega circolare fosse in uso. Non era neppure alimentata. E comunque non era nel punto di origine dell’incendio». Partito, per l’accusa, dalla proprietà del ristoratore.
In base ai rilievi, la difesa ritiene che la zona incriminata fu raggiunta da fiamme già alte, che dal bosco salivano verso monte, verso la recinzione. In conclusione, è la tesi difensiva, il punto da cui è iniziato tutto è al di fuori della proprietà dell’imputato, lungo un sentiero frequentato da diverse persone.
«Abbiamo fatto anche test per capire se quelle scintille potessero alimentare il fuoco», ha concluso. E l’esito è stato negativo, perché secondo gli esperti, la polvere di ferro, che si raffredda al contatto con l’aria, non ha una temperatura tale da poter innescare il substrato di foglie.
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