IL PROCESSO
Varese, madre condannata per abusi sul figlio
Cinque anni e mezzo in primo grado a una cinquantunenne per fatti avvenuti nel Tradatese prima del 2016 quando il ragazzo era ancora minorenne
Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a sei anni di reclusione e ieri pomeriggio il Tribunale collegiale presieduto da Cesare Tacconi (a latere Rossana Basile e Andrea Crema) all’imputata cinquantunenne, difesa dall’avvocato Marco Bianchi, ha fatto solo un piccolo “sconto”, infliggendole in sentenza cinque anni e sei mesi di carcere. Si è chiuso così, almeno per quanto riguarda il primo grado di giudizio (scontato il ricorso in appello), un processo per fatti davvero agghiaccianti che sarebbero avvenuti per diverso tempo, prima del 2016, in un paese del Tradatese: episodi di violenza sessuale aggravata ad opera dell’imputata ai danni del figlio, che oggi è maggiorenne ma all’epoca dei fatti aveva tra i sette e i dieci anni.
Scendendo nel dettaglio del dispositivo, la donna è stata assolta, perché il fatto non costituisce reato, da un’accusa di aver compiuto atti sessuali “in presenza di persona minore di anni quattordici” (articolo 609 quinquies del Codice penale), con riferimento alla contestazione che le era stata mossa di aver avuto rapporti sessuali con vari uomini davanti al bambino, che spesso trascorreva le sue notti nel lettone con lei. Mentre per quanto riguarda la violenza sessuale, la condanna è arrivata come richiesto dalla Procura, con riferimento in questo caso a «toccamenti nelle parti intime e masturbazioni reciproche» realmente avvenuti, a parere del pm Giulia Grillo, nelle notti in cui il bambino, figlio di genitori separati, dormiva appunto a casa della mamma e insieme a lei.
La vicenda emerse nel 2016, quando il padre del ragazzo presentò denuncia ai carabinieri. Preoccupato dal comportamento del figlio, diventato sempre più taciturno, chiese aiuto a una psicologa che consigliò al giovane di scrivere in un diario ciò che accadeva quando era a casa della madre. La donna, da parte sua, ha sempre negato attenzioni particolari nei confronti del bambino e il difensore, nella sua arringa, ha cercato di smontare la credibilità della vittima e di limitare la portata, dal punto di vista del Codice penale, degli incontri a luci rosse con i partner nel lettone mentre il piccolo dormiva. Ritenuti certamente «inopportuni», ma non qualificabili come reati. Il Tribunale in questo caso gli ha dato ragione.
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