ZAMBERLETTI
Mattarella e Delpini all’ultimo saluto
I funerali di Stato alle 10.30 di martedì nella basilica di San Vittore. Dal Friuli a Ustica a Moro, il ricordo di Gianni Spartà

Confermata la presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai funerali di Stato di Giuseppe Zamberletti, in programma alle 10.30 di domani, martedì 29 gennaio, nella basilica di San Vittore. Oltre al Capo dello Stato ci sarà, come già annunciato domenica, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, mentre a presiedere la cerimonia religiosa sarà l’arcivescovo di Milano Mario Delpini. Per tutta la giornata di lunedì è proseguito il passaggio di conoscenti, amici e semplici concittadini del “padre della Protezione civile” nella camera ardente allestita nel Salone Estense del municipio. Dopo il funerale, Zamberletti salirà per l’ultima volta all’amato Sacro Monte, dove sarà tumulato nella tomba di famiglia, accanto al padre e al fratello Domenichino.
Ecco il ricordo dell’ex ministro da parte di Gianni Spartà:
Quando, qualche anno fa, l’allora sindaco Attilio Fontana gli consegnò la Martinella del Broletto, onore degli onori per varesini illustri, Giuseppe Zamberletti ne fu felice con un po’ d’imbarazzo: «In fondo - disse - per la mia città ho fatto poco. Terremoti, alluvioni, grandi opere pubbliche mi hanno tenuto lontano da casa».
Eppure non c’è politico di qui che sia stato rispettato più di “Zorro”, nome in codice sulla rete dei radioamatori, dove nacque la sua amicizia con Francesco Cossiga. Rispetto nella Prima e nella Seconda Repubblica, tra i democristiani e i loro avversari, leghisti compresi, alle latitudini nostrane e ovunque l’uomo sia stato chiamato, da ministro, sottosegretario, commissario, a operare per conto delle istituzioni.
Può apparire paradossale ch’egli abbia concluso la sua lunghissima carriera come colui che voleva costruire il Ponte sullo Stretto di Messina. Un uomo del profondissimo Nord, originario del Sacro Monte, in prima linea nell’estremo Sud, in riva al mare, fino a quando lo Stato non cancellò dall’agenda questa infrastruttura strategica. «Pensate- disse una volta - che erano disposti a costruirla i cinesi. Mettevano soldi, materie prime e progetti».
Da protagonista o testimone, Zamberletti c’entra con molte storie italiane. Si guadagnò la fama di Generale Terremoto in occasione delle tragedie in Friuli e in Irpinia: poteva fallire davanti a terribili devastazioni accadute quando il Paese non aveva anticorpi adeguati nella cultura dell’emergenza, mezzi idonei nei metodi di ricostruzione. Alle spalle avevamo le vergogne del Belice. Invece, accorto come un varesino, efficiente come un giapponese, Zamberletti usò i poteri straordinari («di fatto ero il capo supremo, avrei potuto ordinare anche esecuzioni capitali», scherzava) per fare subito e guardare avanti: la Protezione Civile è nata con lui, la legge che la regola porta il suo nome.
Zorro prende congedo lasciando altre eredità agli storici interessati a propositi di due misteri: la strage di Ustica, il rapimento di Aldo Moro. In un libro sull’aereo inabissatosi prima di atterrare a Palermo nel 1980, egli sostenne la tesi politicamente scorretta della bomba a bordo attribuibile a Gheddafi, secondo informazioni di cui era venuto in possesso.
Al raìs libico, grande burattinaio del terrorismo internazionale, era stato revocato il controllo sul petrolio estratto dai fondali dell’isola di Malta. Fu duplice la sua reazione: avvertimento e vendetta. Avvertimento con l’attentato sulla rotta di Ustica, vendetta, poco dopo, con la bomba neofascista sul treno nella stazione di Bologna.
Sono passati 38 anni, tra processi e depistaggi, il tempo non ha mai diradato completamente le nebbie sulle due stragi, la “verità” di Zamberletti desta ancora inquietudine. Ed è il caso di ricordare che un progettista di rango come Ermanno Bazzocchi spese gli ultimi anni della sua vita a escludere in un dossier di mille pagine la teoria dell’abbattimento dell’aereo a opera di un missile, mai trovato nei fondali davanti a Ustica.
Sequestro Moro: Zamberletti ricordava la drammatica telefonata con la quale monsignor Pasquale Macchi, per conto di Paolo VI, lo incaricava di affidare a un alto prelato, cappellano delle carceri, il reperimento di fondi nel caso le Brigate Rosse avessero accettato il pagamento di un riscatto per liberare l’amico prigioniero. Non se ne fece niente, poche ore dopo Moro sarebbe stato giustiziato.
Anche ricordi personali nel giorno dell’addio.
Uno su tutti: notte dell’8 aprile del 1992, redazione della Prealpina, dove il senatore veniva di tanto in tanto per parlare della sua Varese. C’erano state le elezioni politiche, arrivò una telefonata dal Quirinale: «Pronto, sono Cossiga, mi riferiscono che l’amico Giuseppe Zamberletti, un po’ disperato, si trova lì da voi. Ditegli che ce l’ha fatta. E’ stato eletto al Senato. Comunque in provincia di Varese la Lega ha fatto bingo. Buon lavoro».
Il disperato si rianimò. Pochi giorno dopo era a Palazzo Madama. Per l’ultima volta col laticlavio di parlamentare.
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