MIOGNI
«Nelle celle giravano i topi»
La testimonianza di un agente-imputato per il post sul “carcere vespasiano”

Alle volte basta un “like” a un post su Facebook per ritrovarsi a processo con l’accusa di diffamazione a mezzo stampa.
Non solo: poiché il post incriminato gettava pesanti ombre sulla sicurezza e l’igiene nel carcere di Varese, al punto di chiederne la chiusura, per otto persone è scattata anche l’accusa prevista dall’articolo 656 del codice penale: pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.
«Il vespasiano d’Italia»: così il carcere dei Miogni veniva definito in un post pubblicato nel 2014 sulla pagina Facebook riconducibile a un dirigente nazionale del Cosp, il Coordinamento sindacale penitenziario, agente in pensione. Post che ottenne il “mi piace” di numerosi utenti, compresi diversi suoi colleghi. Qualcuno si limitò a cliccare sul pollice alzato, altri scrissero espressamente frasi a sostegno di questa tesi. La direzione della casa circondariale ne venne a conoscenza e presentò una querela alla Procura della Repubblica.
Che alla fine ha indagato per i due reati non solo l’autore del post ma anche coloro che lo hanno apprezzato pubblicamente. Sulla base anche di recenti sentenze della Cassazione che equiparano un semplice “like” alla condivisione del messaggio ritenuto diffamatorio. Nei guai sono finite otto persone, sette agenti e il padre di uno di loro; un poliziotto della penitenziaria ha scelto l’abbreviato ed è stato assolto a ottobre, mentre gli altri sette sono ancora sotto processo.
«Io non ho nemmeno aperto quelle foto, ho solo messo il “mi piace” perché anche io ho sempre denunciato la fatiscenza del carcere», si è difeso ieri in aula - davanti al giudice Alessandra Sagone e al pm Lucilla Gagliardi - un agente in servizio proprio ai Miogni, dove ha svolto a lungo attività sindacale.
«Di notte mi passavano davanti i ratti - ha proseguito - Se guardavo nelle celle dallo spioncino vedevo gli occhietti rossi dei topi, e non erano quelli di campagna. Io le mie battaglie le ho sempre fatte con lettere e note sindacali, anche nove in 18 giorni. Non avevo alcun interesse alla chiusura del carcere di Varese. L’autore del post? Non lo conosco, non l’ho mai visto».
Il dirigente Cosp, infatti, vive e svolge la propria attività in Puglia e ieri ha negato di essere lui quel “Mimmo” che pubblicò foto e pensieri sul “carcere-vespasiano”: «Io mi chiamo Domenico». Per questo il suo difensore ha chiesto, e ottenuto, di far effettuare una perizia alla polizia postale finalizzata ad accertare se il profilo da cui è iniziato tutto corrisponda davvero all’account del principale imputato. Il quale ha comunque ammesso di condividere le critiche contenute in quella nota poiché da tempo i sindacati denunciavano le condizioni di degrado dei Miogni.
Condizioni evidenziate anche da un servizio della trasmissione di Italia 1 “Le Iene”: per questo il collegio difensivo ha chiesto di sentire come testimone il giornalista autore del servizio. Richiesta su cui il giudice s’è riservata di decidere dopo la prossima udienza, quella del 10 settembre, quando sarà conferito l’incarico al perito che dovrà stabilire la vera identità di colui che ha aperto il profilo da cui è partito il post delle polemiche.
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