L’ESPERIENZA
Nella bolla dell’oratorio: ciao, virus
A Biumo 22 adolescenti vivono insieme: Dad, sport, musica. E crescita umana

«Ai ragazzi è tornato il sorriso». E questo è quello che conta. Oltre alla consapevolezza che anche questo tempo di pandemia «non sia buttato via, serva per crescere».
Non sappiamo come hanno reagito i genitori dei ragazzi che hanno chiesto di entrare nella bolla di Biumo, quando i loro figli hanno esordito: andiamo a vivere insieme, non ce la facciamo più chiusi in casa con voi, senza poter fare nulla, abbiamo bisogno di stare tra ragazzi.
Sappiamo però che poi mamme e papà li hanno aiutati e che il progetto è decollato: tampone prima entrare, tra i 14 e i 21 giorni in comunità. Vita in oratorio senza mettere il naso fuori, per superare la crisi della zona rossa e di tutte le privazioni della socialità di questo tempo infinito segnato dal virus.
Ora sono in 22 nello storico complesso dell’oratorio di Biumo “Luigi Molina”, insieme con l’ideatore dell’esperienza, don Gabriele Colombo, e con un’educatrice.
Ragazzi e ragazze dai 16 ai 18 anni e due maggiorenni, studenti che provengono dagli oratori della comunità pastorale Beato Samuele Marzorati e da alcuni oratori della comunità di Sant’Antonio Abate, quella del centro città.
Sono già arrivati al giro di boa della terza settimana, il tampone di controllo prima di varcare la soglia dell’oratorio, anzi della bolla.
Bolla, come quella dell’Nba, e non solo perché per sopravvivere si deve pensare in grande, ma anche perché sul campo di basket sono passati, tra centinaia di ragazzi poi diventati davvero giocatori di basket, anche i campioni, padre e figlio, Meneghin. E basket e calcio e allenamenti fanno da corollario a tante attività della giornata: colazione, Dad, «ognuno ha il proprio angolino» dice il sacerdote, pranzo insieme e questo è l’unico momento in cui entra un esterno nella comunità, senza alcun contatto con il gruppo, un cuoco professionista, altrimenti i ragazzi rimarrebbero a digiuno a pranzo visto che sono tutti impegnati con la scuola.
Poi la musica e il canto, per preparare le celebrazioni pasquali (usciranno dalla bolla la domenica delle Palme) ma anche tanta musica-sfogo, senza le telecamere dei programmi tivù.
Qui c’è la vita vera: i ragazzi si lavano i vestiti, cucinano la sera, puliscono... tengono in piedi la loro casa comune. Hanno anche lavorato: confezionando finora oltre 2mila pacchettini di ulivo da distribuire fuori dalle chiese. C’è fatica, c’è confronto, c’è soprattutto condivisione.
Il progetto nasce da un’intuizione, da una domanda: come aiutare questi ragazzi a non chiudersi del tutto in se stessi? Per prima cosa, facendoli stare insieme. Quando usciranno, faranno comunque il tampone prima di tornare a casa. Ciao ciao, virus.
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