L’INCHIESTA
Senzatetto: la mappa
Dove dormono i clochard. Davvero rifiutano gli aiuti?

Passo passo, giorno dopo giorno, è possibile verificare, anche a Varese, gli effetti disastrosi dell’intreccio tra Covid e vecchie povertà, tra bisogni inediti che appaiono all’orizzonte e strascichi di difficoltà da sempre presenti nelle pieghe della città. Un terribile mix che balza agli occhi, soprattutto in questo periodo: il caldo estivo spinge parecchi a dormire all’aperto, accomodandosi alla meglio. Sulle panchine delle piazze, nelle strade più appartate, in rifugi d’occasione ricavati sotto portici e all’entrata dei negozi, in pieno centro come nelle periferie.
Alle prime ore del mattino, un ragazzo si alza dal suo giaciglio di fortuna ricavato nello stretto atrio di un negozio d’angolo dalle molte vetrine. Sistema i suoi cartoni, calza le scarpe, raccoglie i poveri indumenti prima di affrontare una dura giornata. A poche centinaia di metri da lui, sulle panchine davanti al Teatro Politeama, altri due senzatetto stanno dormendo, e di loro non si accorgono i primi frettolosi pedoni che si recano al lavoro quasi all’alba. A dormire all’aperto a Varese sono spesso giovani, ma non mancano neppure i tradizionali clochard, uomini più anziani, abitudinari, da sempre ai margini della città, che sotto i portici che corrono lungo i binari delle Ferrovie Nord si rifugiano per trascorrere la notte in sacco a pelo. Poveri vecchi e nuovi, italiani e stranieri, uomini e donne in difficoltà, persone magari in transito per pochi giorni a Varese, oppure stabilmente rassegnate a vivere in miseria, tra mense e soluzioni di fortuna per la notte. Comunque tanta gente che non arriva neppure alla fine della seconda settimana del mese. E questo già prima dell’emergenza Covid.
Ora questi invisibili trovano ogni cosa ancora più complicata, ogni loro giornata si fa sempre più ardua, alla continua ricerca di un modo per sopravvivere. Difficile affrontare problemi che l’epidemia ha esteso a macchia d’olio, cambiando le carte in tavola di molte famiglie. L’amministrazione comunale ci prova, procede con sgomberi e interventi della polizia locale, come quello avvenuto, qualche giorno fa, sotto i portici del negozio chiuso di Moreno. Ma gli sgomberi non risolvono l’emergenza, non danno risposte vere ai problemi. Fanno piuttosto sorgere diverse domande: se non sia il caso di aprire ricoveri d’emergenza anche nel corso dell’estate e non solo per difendersi dal gelo dell’inverno, se siano sufficienti risposte normali date ad una crisi che è tutto fuorché normale, se sia vero che tanti senza tetto vivono all’aperto perché rifiutano soluzioni alternative che davvero gli vengono prospettate dai Servizi sociali del Comune. Le risorse ci sono, per quanto limitate, a partire dai 340mila euro per i Servizi sociali che sono stati liberati dall’ultima variazione di bilancio in Consiglio comunale. Si possono aggiungere anche i 40mila euro di budget messi a disposizione di un Piano regolatore del sociale che non appare ancora all’orizzonte. Volontariato e parrocchie si mobilitano, il terzo settore è impegnato 24 ore su 24. Ma i problemi di oggi, quelli che vive chi si nasconde negli angoli bui della città, punta di un iceberg di disagio certamente molto più ampio e nascosto, dopo l’estate diventeranno ancora più gravi, maledettamente drammatici, tali da pretendere risposte più efficaci di quelle, per ora insufficienti e provvisorie, date finora.
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