RAPINE
Varese: «Trent’anni di carcere alla banda Vasi»
La richiesta del pubblico ministero in aula: a processo dieci persone

Trentuno anni e nove mesi di carcere: questa la somma delle singole richieste di condanna per dieci persone, accusate di aver fatto parte di una banda che tra il 2010 e il 2011 avrebbe tentato e messo a segno diverse rapine tra Canton Ticino e Varesotto.
La requisitoria del pubblico ministero è arrivata ieri pomeriggio davanti al collegio del Tribunale di Varese. Un’ora per ripercorrere tutti i principali fatti contestati alla banda capeggiata da Filadelfio Vasi, ex ultrà del Varese Calcio, un ampio curriculum di problemi con la giustizia, recentemente tornato in libertà dopo una lunga detenzione per tentata rapina e altri reati. Per lui il pm ha chiesto una nuova condanna a 8 anni e 10 mesi di reclusione, più una multa di 6.700 euro. Il pm ha descritto un quadro chiaro in relazione ai colpi organizzati dal gruppo criminale tra gioiellerie, uffici cambi e supermercati. Tra gli elementi citati dall’accusa, ci sono le dichiarazioni rese da una donna - che all’epoca dei fatti frequentava uno degli odierni imputati, tutti appartenenti all’ambiente del tifo organizzato del Varese Calcio - agli inquirenti, durante le indagini, e poi davanti ai giudici nel corso del dibattimento, tra le lacrime e il terrore di incrociare lo sguardo con gli uomini a processo, tanto da arrivare a chiedere di poter deporre dietro la protezione di un paravento. La testimone in udienza ha confermato quanto era emerso in principio da una attività di indagine riguardante un giro di stupefacenti, che aveva portato i carabinieri a intercettare delle conversazioni circa i piani da mettere in atto per le rapine, e a eseguire gli arresti, e ha aggiunto una motivazione di fondo alla pianificazione di quei colpi: servivano soldi per sottrarsi alla giustizia italiana fuggendo in Spagna.
I dettagli, in diverse delle rapine contestate (quella del giugno 2010 all’ufficio cambi di Besazio, in Canton Ticino, portò ad un bottino di 187mila euro), sono la dimostrazione, per l’accusa, di un modus operandi consolidato, da sommare a immagini di videosorveglianza, testimonianze, intercettazioni e identikit per confermare la presenza della “banda Vasi” sui luoghi delle rapine. Come agiva la banda? Utilizzando pettorine della guardia di finanza o catarifrangenti, impiegando fascette per bloccare le mani, parrucche, pistole con matricola abrasa, uno scooter. E i ruoli di chi partecipava ai blitz erano stabiliti con metodo: c’era chi si occupava del personale degli esercizi, legandolo e portandolo nei bagni, chi puntava l’arma per intimidire, chi pensava alla ricerca dei soldi. Punto, quest’ultimo, legato anche ad alcune presunte estorsioni. Una avrebbe avuto luogo durante la detenzione di Vasi che, per il pm, avrebbe preteso di essere mantenuto da chi apparteneva alla sua cerchia. Per alcuni reati minori è stata chiesta l’assoluzione, mentre altri reati sono prescritti. Al ritorno in aula parleranno le difese dei dieci imputati e poi arriverà la sentenza.
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